Da quando era morto suo marito Anteo, Clelia non riusciva più a dormire. Raggomitolata sul bordo del letto guardava il cuscino vuoto accanto al suo.
Anteo se n’era andato con un brutto incidente, i figli ormai erano grandi, e lei, a sessant’anni, non poteva più lavorare nei campi.
Un senso di vuoto l’avvolgeva come una morsa: la casa ora era così silenziosa, e quel letto era troppo grande per lei sola.
Una vita insieme, lei e Anteo, otto figli, lavoro e sacrifici. E amore, tanto amore per l’unico uomo della sua vita.
Avrebbe voluto scrivere per fermare i ricordi che ogni notte non la facevano dormire, ma non aveva trovato un pezzo di carta in tutta la casa.
D’un tratto le era tornata in mente la sua maestra elementare, Martini Angiolina, che raccontava di come gli Etruschi avvolgevano le mummie in lenzuola piene di scritte.
Di carta in casa non ce n’era, ma lei conservava ancora qualche pezzo del corredo nuziale.
Il lenzuolo bianco che aveva tirato fuori dall’armadio era un po’ rigido e misurava quasi due metri: Clelia aveva appoggiato il bordo sul cuscino e lo aveva adagiato sulle sue ginocchia.
A sinistra aveva incollato la foto di Anteo, a destra la sua e al centro un santino con l’immagine del Sacro Cuore; avrebbe numerato le righe per non perdere il filo del racconto.
Adesso che le lenzuola non le avrebbe più consumate con il marito, sarebbero state pagine bianche da riempire con la loro storia.
Bibliografia:
Clelia Marchi, Gnanca na busìa, Il Saggiatore.