Cosa resta dei millennials quando hanno smesso di essere davvero giovani, con le illusioni evaporate, sputate fuori come un bolo intestinale mal digerito? In questa raccolta di racconti troviamo storie di persone sconfitte, bambini che sono stati bullizzati, madri single che cercano negli angoli bui delle discoteche surrogati d’amore, ragazzi senza più freni inibitori che offrono un letto a una sconosciuta e si trovano a combattere con le nevrosi comuni e con le difficoltà di amare. La mancanza di speranza è il filo che unisce queste storie brutali, dove una solitudine che diventa ferocia schiaccia ogni tentativo fugace di solidarietà. Eppure, alla fine del buio c’è una piccola luce, una serie di attimi e di gesti teneri, condivisi o no con la persona che li ha ispirati, e che, per un attimo, rendono la vita e il mondo un posto migliore.
Brevi flash su vite perdute, dove l’essenziale è la sopravvivenza quotidiana, con i denti snudati, sempre in affanno su progetti e futuri falliti, la difficoltà di arrivare a fine mese, lavori precari e mal pagati, il senso di essere arenati sul fondo senza nessuno che tenda una mano. I genitori o gli adulti, quando non sono loro stessi i protagonisti della propria sconfitta, sono pressoché incapaci di proteggere i più giovani, non li vedono nemmeno, non vedono il sangue che gronda dalle ferite, chiusi nella incomunicabilità del tradimento che il benessere in cui sono vissuti ha portato nel loro presente. Siamo tutti grumi disastrosi, sputati come rifiuti di un privilegio che ha smesso di essere diritto ed è diventato rinuncia rabbiosa.
Ecco, la rabbia che avvolge le storie, in particolare quella del racconto Amore, ove il protagonista incontra una ragazza che lui chiama Gatta, in un casermone costruito a poca distanza da un orrido fatto di sangue accaduto nel 1993: un ragazzo di 18 anni ha ucciso la sorellina disabile. Quella violenza ha imbevuto l’aria e la terra, diffondendosi come una sorta di spora malvagia, intossicando tutte le persone che le passano accanto. Così per i due ragazzi, reduci da delusioni, non c’è altra possibilità che quella di guardare le reciproche ferite, ma non di cominciare una nuova vita: sono troppo rotti dentro per fare qualsiasi cosa che non sia guardarsi da lontano.
Questo è il ritratto di una nuova beat generation, sconfitta, lucida e dolorante, qualcosa con cui dobbiamo fare i conti, adesso, in questo mondo che ha perso le certezze e che si avvia al declino.
“Ho sempre voluto vivere alla fine di una provincia, magari già in un bosco, come se le persone si fossero fermate poco prima, convinte che fosse tutto qui. Senza memoria, senza una storia.
La Gatta parlava, parlava. E io ascoltavo, ascoltavo. Il suo tic – tutti ne hanno uno –consisteva nell’aggiustarsi dei capelli finti, come se li avesse lunghi.
Solo oggi capisco la cosa più ovvia e crudele di tutte: siamo capaci di gesti di disinteressata tenerezza pochi minuti prima di farci fuori.
Ed è in questo momento che la Gatta posa il cartone del latte, si avvicina a me, si sdraia e mi sussurra, «Va tutto bene». Oppure ancora è come dice lei subito dopo «Essere sensibili è una condanna. Ma abbiamo ragione noi. Va tutto bene».”