La verità è solo un lucido espediente di tipo sofista, come proclamato da Gorgia da Lentini, dove tutto quello che appare vero lo diventa, oppure esiste ancora, in un tempo dominato dall’immagine che lasciamo nell’universo virtuale, una realtà fattuale, che non sia solo il frutto abile e manipolatorio di chi da tale manipolazione trae vitalità e nutrimento? E, come sempre, il romanzo non offre soluzioni a questa domanda, ma solo visioni, sbirciate all’interno di pieghe di vite narrate che potrebbero essere le nostre.
Expat e in cerca di una stabilità emotiva, Eva, italiana, vive nel caos e nella chiassosa solitudine londinese, abbagliata dal miraggio di un lavoro nell’editoria, che ha smesso da tempo di somigliare al trionfo della mente e dell’anima sulla routine, e lavora nei ritagli di tempo al suo romanzo. Persa tra drink, serate fatte di messe in mostra e tentativi di approcci sessuali, il suo mondo esplode, ferito e dolorante, quando il suo collega e amico Daniele, come lei italiano, viene in pratica costretto a dimettersi, dopo una denuncia alle risorse umane dell’azienda, da parte di un’altra collega, Christine, di molestie sessuali. Daniele è scosso dalla vicenda ma lucido, ammette l’accaduto ma dice che erano entrambi ubriachi e che in realtà Christine si è fortemente risentita alla sua chiarificazione che una notte di sesso non significava, per lui, l’inizio di una relazione.
Eva gli crede. Daniele è un pezzo del suo spaesamento, una specie di surrogato di quella famiglia disfunzionale e poco protettiva dalla quale cerca costantemente di scappare. Il padre è emigrato in Svezia, dopo un processo frettoloso che lo vedeva accusato di violenza domestica, e con lui non ha rapporti da anni, e la madre, ex ricca, la fa sentire inadeguata per il peso corporeo in eccesso.
In giro per locali incontra Sacha, un ragazzo lituano, che però non ha alcun reale interesse a costruire una relazione stabile né con lei né con nessun’altra: a lui, come alla maggior parte della popolazione londinese vicina a Eva, basta divertirsi. Il tempo passa ed Eva sente incombere il peso del fallimento come una nuvola carica di pioggia acida: a 35 anni non ha un compagno né un figlio, e le menzogne su Daniele, diffuse come veleno, le rendono la vita più dura all’interno dell’azienda nella quale non riesce a trovare nessuna forma di solidarietà. Se si guarda intorno vede solo persone egoriferite, prive di collante umano e che, pericolosamente, forse le somigliano.
Il suo vero legame è con una prozia, zia Rita, sorella del nonno, che le offre, ogni volta che torna in Italia, un rifugio sicuro, senza giudicarla. E qui, in questo luogo sicuro, Eva permette a sé stessa di ricordare la vicenda drammatica dell’arresto del padre e della sua testimonianza, da bambina ubbidiente alle sollecitazioni materne.
Quando la vicenda legata all’accusa di Daniele rischia di fargli perdere di nuovo il lavoro, Eva, guardando i social, scopre che l’opinione pubblica è tutta contro di lui, schierata dalla parte della presunta vittima, che è troppo ferita e scossa per fornire una versione dei fatti credibile. Quindi Daniele è lui stesso una vittima del politically correct, che vede in ogni uomo un colpevole e in ogni donna sempre una vittima? Oppure le cose sono davvero tali che lui si è meritato, senza avere avuto neanche un processo, l’ostracismo sociale e il biasimo, che diventa minaccia aggressiva sui social?
La vicenda, drammatica, dà uno sprone a Eva, giusto per farla uscire dal pantano in cui sguazzava, senza reali speranze, legata a una ripetitività infruttuosa e annoiata, e decide di licenziarsi dal lavoro stabile che ha per finire il romanzo e approdare a una forma romantica di precariato organizzato.
Anni dopo la troviamo praticamente una scrittrice con una agente, ancora di nuovo alle prese con la ricerca della verità, sulla sua vicenda personale e familiare e su cosa sia successo davvero tra Daniele e Christine.
Cosa faremmo, in effetti, se a essere coinvolti in una vicenda criminosa, anche senza polizia, ma abbastanza da allertare il nostro senso di condivisione e adesione, fosse una persona che ci è cara?
Se fosse un figlio, o una figlia a essere coinvolto? Cercheremmo la verità, o ci accontenteremmo di fare la cosa che il mondo si aspetta dal nostro genere, lanceremmo pietre o offriremmo giustificazioni e alibi cd. sociali?
Ma quando esattamente la verità ha smesso di essere un traguardo all’esito di un confronto ed è diventata una cosa che non si discute se il contesto offre spunti credibili di colpevolezza?
Un romanzo provocatorio, intenso, a tratti estremamente disturbante, mette a fuoco il tentativo di scandagliare i nostri angoli bui, il nostro voler dare giudizi nascosti dietro uno schermo, attratti da tutto quello che sembra brillare, o che, più semplicemente, non ci costa fatica, e che, ancora una volta, sembra la cosa giusta da dire e da fare.
“Su tutto ciò di cui loro hanno un’idea chiarissima, granitica, ovvia, io mi limito a coltivare dubbi.
A piccoli sorsi assaporavo la leggera frustrazione che mi pervadeva, alimentata dal timore del giudizio e dello scherno, e dalla necessità sempre più impellente di rivendicare il diritto di avere opinioni anche impopolari, anche sbagliate.
La vita da espatriata a Londra si basa su due o tre amici veri, e io continuo a perderli. Ma è il destino dei nostri tempi. Perdi la famiglia, perdi gli amici, e poi? Poi adotti un cane”.