Parliamo di “Senza senso. Quando il corpo non ti appartiene più” con Chiara Briani

"Io ho scelto di fare neurologia perché mi ero innamorata di Pirandello ed ero affascinata dallo scoprire l’Uno, nessuno e centomila che c’è in ciascuno di noi".

Ciò che mi colpisce ogni volta che incontro Chiara Briani (la potete vedere qui sopra in una bella fotografia di Giulia Zandarin) è il suo essere così apparentemente esile e allo stesso tempo determinata. Nel suo lavoro di ricercatore in neuroscienze, che l’ha portata a diventare docente universitaria all’Università di Padova e l’ha fatta arrivare fino alla Columbia University di New York, con molte pubblicazioni scientifiche. Nella sua pratica della scrittura, che ha prodotto diversi buoni racconti a alcuni romanzi di fiction, come Mrs. Grace (Alter Ego 2017) e Non ho mai visto inciampare l’amore (Augh! 2020), oltre a due storie cliniche narrative che uniscono in qualche modo i suoi due volti più visibili a noi lettori: Voglio potermi arrabbiare (Alter Ego 2016) e Senza senso. Quando il corpo non ti appartiene più (Augh! 2024) appena uscito in libreria. Quest’ultimo è davvero un lavoro coinvolgente, capace di metterci di fronte non tanto a una malattia poco conosciuta, la sindrome di Sjögren, ma soprattutto a un incontro tra due persone, due donne, medico e paziente, che si svelano quel tanto (o poco) che possono per rivelare a chi legge come si possa vivere perdendo un po’ alla volta il senso di posizione del corpo nello spazio. Dalle dita alla mano, dal volto alle gambe. E in questo caso l’espressione “senza senso” non è una metafora, ma una condizione reale. Quasi impossibile da immaginare, terribile da vivere, difficilissima da curare. Per quel che si può. Un libro forte e per certi versi tenero che somiglia molto alla sua autrice. Per questo mi fa piacere consegnarlo a qualche lettore che voglia immergercisi, con questa intervista.

 

Chiara Briani, sei ormai una narratrice a tutti gli effetti, come fai a conciliare la scrittura con il lavoro di medico?

Il lavoro di medico, che amo molto, occupa la maggior parte della mia quotidianità.

Scrivere è invece un “faticoso divertimento” cui mi dedico nei momenti liberi, spesso anche quando sono in viaggio.

 

La mentalità scientifica aiuta lo scrittore nel realizzare le sue storie?

A una presentazione di un libro precedente (Non ho mai visto inciampare l’amore) una persona mi chiese se lavorare nell’ambito delle neuroscienze avesse facilitato la capacità di descrivere le emozioni e l’essere empatica con le persone. Risposi di no.

Io ho scelto di fare neurologia perché mi ero innamorata di Pirandello ed ero affascinata dallo scoprire l’Uno, nessuno e centomila che c’è in ciascuno di noi. Il fatto di sapere anatomicamente dove risiedono le emozioni (nel cervello, non nel cuore, anche se è meno romantico) non credo favorisca l’empatia o la capacità di raccontare.

Forse è stata la mia capacità di ascoltare e “leggere” le persone che mi ha portato a scrivere e a anche a scegliere neurologia, la “più intellettuale” delle specialità mediche, non viceversa.

 

Perché hai voluto raccontare questa storia?

Perché Daniela (e molte persone come lei) sarebbe rimasta invisibile, se non fosse stata raccontata.

E ci sono esperienze e realtà che vanno descritte, perché tutti possiamo conoscere, comprendere e rispettare.

 

Cosa ti ha colpito di più, la persona oppure la malattia così particolare che racconti?

La persona, come sempre.

 

È il tuo secondo caso clinico, potrebbe nascere una serie?

Potrebbe, ma non sarebbe una scelta deliberata né programmata.

Ci devono essere circostanze, atmosfere e vite da voler e poter raccontare.

In fondo, diversamente dal grandissimo Oliver Sacks, io non racconto storie di malattie.

Racconto storie umane che, incidentalmente, ho conosciuto come medico.

 

Ti approcci in modo molto differente a una storia vera come questa rispetto a quando inventi un personaggio?

Certamente. Nei personaggi di pura fantasia posso dare spazio libero all’immaginazione, pur mantenendo la coerenza e l’attendibilità del personaggio.

Quando prendo spunto da una storia vera, ci sono molto più rispetto e attenzione per la persona che l’ha ispirata. Anche in Senza senso. Quando il corpo non ti appartiene più molta parte della trama è inventata.  Della protagonista ho però mantenuto il nome, la bellezza, la discrezione e, spero, i sentimenti.

 

I protagonisti reali di queste storie si leggono, si riconoscono?

La protagonista di Senza senso. Quando il corpo non ti appartiene più mi ha detto di essersi riconosciuta soprattutto nel “sentire”.

Poi mi ha detto una cosa molto bella: «Nel libro, cercavo lei».

 

Secondo te, un medico ha il diritto, o il dovere, di raccontare le storie particolari dei suoi pazienti?

Non ha il diritto.

In entrambi i libri ispirati a storie di pazienti (Voglio potermi arrabbiare e Senza senso. Quando il corpo non ti appartiene più) i pazienti erano coinvolti attivamente e sono stati parte del progetto narrativo.

E non ha nemmeno il dovere.

Da docente universitaria posso utilizzare delle storie cliniche per spiegare alcune malattie agli studenti, ma il mio compito didattico è sempre anonimo e rispettoso delle realtà individuali.

 

A me il libro è molto piaciuto, quali sono state le reazioni dei lettori?

I commenti che ho ricevuto finora (il libro è appena uscito) sono stati che è una storia toccante e ricca di grande forza interiore. Una lettrice mi ha detto che l’ha colpita anche la lucidità e sofferenza che traspaiono dal senso di impotenza di chi lavora nella medicina di fronte ad alcuni casi, che sono poi persone.

E – ha aggiunto – non era scontato che la storia portasse tra le pagine anche questo sguardo.

 

C’è qualche tuo nuovo progetto di narrativa in procinto di prendere vita?

Sì, c’è un giovane prete intraprendente che abita sulle Dolomiti che ogni tanto mi ricorda che devo finire la sua storia.

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Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

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