Parliamo del romanzo “Bestiario privato” con Zeno Rotondi

"Per me scrivere storie di omicidi è una scelta consapevole: significa trovare il coraggio di non abbassare gli occhi davanti all’abisso che è in noi".

Vostro Onore, posso testimoniare che Zeno Rotondi ha scritto il suo romanzo d’esordio con una passione davvero trascinante. Lo ha immaginato, ideato, sviluppato, terminato, rifinito con un’accuratezza e un gusto della precisione che lo avrebbero portato senza dubbio a compiere un delitto perfetto, se si fosse dedicato al crimine reale invece che a quello immaginario. Vostro Onore, posso testimoniarlo perché io l’ho accompagnato come il più attento dei complici in quest’opera di malvivenza letteraria nei meandri di alcuni inquietanti laboratori di scrittura. E altresì, posso testimoniare che Zeno Rotondi è colpevole del più terribile dei misfatti: ha scritto un romanzo giallo bello e avvincente, capace di far trascorrere ore di lettura di grande soddisfazione anche al più annoiato dei lettori. E per di più con questo suo manoscritto ha vinto un premio importante che l’ha condotto alla pubblicazione. Quindi, vostro Onore, per questo adesso – come condanna per le sue colpe – lo interrogherò! E su cosa?, mi chiederà Lei, vostro Onore. Ma sul suo romanzo ovviamente, e cioè Bestiario Privato (I Gialli Damster 2024).

 

Zeno Rotondi, come mai hai scelto di scrivere un giallo noir?

Innanzitutto perché sono un lettore accanito di questo genere. Ma la mia urgenza di scrivere credo che vada ricercata al di là del genere. Infatti, ho scelto di usare le tecniche narrative del noir poliziesco per raccontare la storia di rinascita di un poliziotto, il vicequestore aggiunto Nico Alpi, capo della sezione omicidi della squadra mobile di Roma, che dopo la morte per overdose della giovane figlia è preda dei sensi di colpa e si è rinchiuso in se stesso per non provare più emozioni e non soffrire più. Una rinascita che è complicata dal fatto che il mio protagonista, oltre a dover elaborare il lutto per andare avanti, per non togliersi la vita come la figlia, deve anche confrontarsi da un lato con il mondo immaginario delle allucinazioni, prodotto morboso delle sue ferite, e dall’altro con la realtà degli omicidi, che spesso supera anche la più cupa fantasia.

 

Ti ha mai detto qualcuno che nel mondo ci sono già molte brutture, perché scrivere storie di omicidi?

Qualche volta mi è capitato. In genere chi pone questa domanda pensa che no, non dovremmo interessarci a una cosa del genere, qualcosa di non propriamente giusto, di così morboso, e di cui dovremmo sentirci in colpa. Oppure tende a relegare chi è coinvolto in questi fatti di violenza, sia le vittime sia i carnefici, nel mondo delle creature fantastiche: i carnefici sono i mostri, le vittime i santi e non appartengono all’umano; come fosse tutta roba che non ha niente a che fare con noi. Credo che si tratti di visioni superficiali e limitate del male. In realtà la questione è più ampia e complessa perché le “brutture” sono anche dentro di noi. Per me scrivere storie di omicidi è una scelta consapevole: significa trovare il coraggio di non abbassare gli occhi davanti all’abisso che è in noi. Dobbiamo imparare ad avere a che fare con il male (individuale e collettivo) perché, come ci spiega Carl Gustav Jung, esso vuole la sua parte nella vita. Il semplicistico concetto rigidamente duale di bene e male come due entità contrapposte ha generato, come la storia e la psicologia ci insegnano, le catastrofi e le malattie più grandi dell’intera storia umana. Questo non significa trovare una giustificazione del male vero e proprio; il male resta sempre e comunque male, e guai a essere relativisti su questo. Significa invece includere il male come parte integrante della vita e accettarlo pienamente. Questo cambiamento di prospettiva è fondamentale perché una eventuale evoluzione della situazione può uscire fuori soltanto da un sofferente, umano e vissuto confronto con il male. Anche secondo il Buddismo bene e male scorrono dentro di noi in maniera incessante, combinandosi e manifestandosi nelle forme più disparate. Quando dentro di noi vogliamo eliminare a tutti i costi un nostro aspetto interiore che giudichiamo sbagliato scivoliamo in una visione binaria della realtà. Il dualismo tra bene e male è attraente perché è un modo semplice di guardare il mondo. Tuttavia le conseguenze di questo modo di pensare possono essere molto pericolose. Troppo spesso chi è convinto della propria bontà finisce per manifestare quelle stesse caratteristiche – disprezzo per l’umanità e i diritti umani, per esempio – che trova così ripugnanti in coloro che etichetta come malvagi. Non bisogna mai smettere di confrontarsi con il male, a ogni occasione. Il male sul quale ognuno di noi deve trionfare è l’impulso verso l’odio e la distruzione che risiede in ciascuno di noi. Il rischio di questo confronto incessante con il male – come ci avverte Friedrich Nietzsche – è che quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro. Ma come precisa Emmanuel Carrère sarebbe più pericoloso ancora non trovare il coraggio di guardare dentro il proprio abisso. A tal proposito lui cita spesso un passo del Vangelo apocrifo di Tommaso: se lasci avvenire quello che è in te, quello che è in te ti salverà; se non lasci che quello che è in te accada, finirà per ucciderti.

 

Hai impiegato molto tempo nella scrittura? Per quanto tempo hai elaborato la tua storia?

Ho impiegato sei anni. Ho iniziato a scriverla nell’ottobre del 2017 e l’ho terminata nell’ottobre del 2023. Poi nel maggio del 2024 l’ho pubblicata. Spero che il prossimo romanzo, a cui sto già lavorando, veda la luce in minor tempo!

 

Hai comunque dedicato molta attenzione allo stile e all’approfondimento psicologico dei personaggi…

Sì, per me era molto importante. Mi interessava soprattutto raccontare questa storia in cui la sfera psichica del poliziotto che indaga sugli omicidi ha maggior rilievo rispetto all’indagine stessa, con il protagonista che a causa dei sensi di colpa soffre d’insonnia e vive frequenti stati allucinatori che lo portano a confondere realtà e fantasia. I romanzi da cui ho tratto ispirazione per la scrittura della mia storia sono Psycho di Robert Bloch, i romanzi della Fred Vargas che hanno come protagonista il commissario Jean-Baptiste Adamsberg (uno su tutti: Il morso della reclusa), La donna che visse due volte e I diabolici del duo Boileau-Narcejac, Gli intrusi di Georges Simenon.

 

Questo romanzo ha vinto un premio importante che ti ha portato alla pubblicazione, te l’aspettavi?

Il romanzo è risultato primo classificato alla V edizione del concorso letterario GialloFestival del 2023-2024 ed è stato pubblicato da Damster Edizioni, nella collana dei Gialli Damster, nel maggio del 2024. Onestamente, essendo io un esordiente, questo premio non me l’aspettavo. Ma, come dicono gli scrittori di gialli noir, a volte il reale è di gran lunga più sorprendente dell’immaginifico.

 

Il tuo protagonista soffre di allucinazioni a causa di un gran dolore nel suo passato, perché hai scelto di caratterizzarlo in questo modo?

Alpi ha delle allucinazioni in cui bestie sofferenti e ferite sembrano minacciarlo. Nel romanzo si spiega che “sua figlia Aurora amava gli animali e non sopportava vederli soffrire. La sua stanza era diventata un ospedale veterinario. C’erano gabbie ovunque, persino sotto al letto. Nell’armadio, invece dei vestiti, c’era una dispensa con il cibo e le medicine. Finché un giorno, senza alcun apparente motivo, lei li portò tutti via. Dopo averli sistemati, chi da un veterinario, chi da un’associazione, disse solo che non poteva più occuparsene. Era il suo modo per dire al mondo che l’animale ferito adesso era lei.” Detto questo, Alpi spera, anche se non ha senso, che sia la figlia a inviargli quelle allucinazioni di bestie, che sia il suo modo di comunicare con lui dall’Aldilà. Le allucinazioni di bestie rappresentano per il protagonista uno strumento per restare (almeno con l’immaginazione) in contatto con la figlia morta. Tutto sommato non è poi così strano se pensiamo che molte persone usano i social per parlare con i defunti e qualcuno sta tentando addirittura di far letteralmente parlare i morti sfruttando l’intelligenza artificiale.

 

Come nasce l’idea del Bestiario?

Dalle visioni di bestie ai Bestiari medievali il passo è più breve di quanto si possa in prima approssimazione immaginare. Basilio scrive: “Conosco le leggi dell’allegoria, anche se non sono stato io a inventarle, ma le ho trovate negli scritti laboriosi degli altri. Coloro che non accettano i significati comuni della Scrittura dicono che l’acqua non è acqua ma qualche altra sostanza, e interpretano le parole pianta e pesce nel senso che piace loro, e spiegano la creazione dei rettili e degli animali selvaggi distorcendola secondo le proprie allegorie, come interpreti di sogni che spiegano le visioni fantasiose partorite nel sonno accomodandole a un loro scopo particolare.”  Non a caso l’ho scelto come esergo per il mio romanzo. Nei Bestiari gli uomini medievali spiegavano le proprietà degli animali accomodandole a un loro scopo particolare, ovvero ricavarne insegnamenti morali e religiosi. Analogamente Alpi attraverso l’immaginario fantastico del legame tra uomo e animale – un legame che per sua figlia era più importante di ogni altra cosa – riesce a venire a patti con i sensi di colpa, inventando una sorta di Bestiario privato. Lascio giudicare ai lettori del romanzo se il processo di elaborazione del lutto seguito da Alpi si tratti di un’illuminazione, un’esperienza mistica o un delirio della fantasia esaltata del protagonista.

 

Quanto c’è di tuo in questa storia? Ci sono lati del protagonista che senti simili alla tua psicologia?

I romanzi contengono sempre qualcosa di autobiografico. Nelle scuole di scrittura creativa il primo consiglio che si dà agli aspiranti scrittori è quello di parlare solo di ciò che si conosce. E suppongo che ciò che meglio conosciamo è noi stessi. Forse il lato Alpi che più mi rispecchia sono le allucinazioni. Nella nostra cultura occidentale le allucinazioni sono spesso considerate indice di follia e questa forte connotazione negativa ha reso le persone riluttanti ad ammettere e condividere le proprie allucinazioni temendo che gli altri li credano sul punto di perdere la ragione, nonostante la stragrande maggioranza delle allucinazioni non implichi necessariamente che al cervello stia accadendo qualcosa di così terribile. Al contrario gli scrittori hanno avuto spesso la convinzione che le allucinazioni rappresentassero uno stato di coscienza privilegiato e speciale per estendere e arricchire l’immaginazione. Solo per citare alcuni dei precursori del genere di letteratura di cui mi occupo, Edgar Allan Poe, Charles Dickens e Fëdor Dostoevskij le hanno descritte molto meglio di me nelle loro pagine. Comunque anche nel mio caso, durante la stesura del romanzo, le allucinazioni ipnagogiche sono venute a trovarmi sulla soglia del sonno e hanno influenzato le parole e le immagini che ho scelto per raccontare questa storia.

 

Il romanzo è ambientato a Roma, tu ora vivi in provincia, la storia sarebbe diversa in un’altra ambientazione, tipo a Ferrara?

Sì, assolutamente. Per raccontare questa storia avevo bisogno di ambientarla a Roma, dove ho vissuto per lunghi periodi della mia vita e che ospita contraddizioni difficili da superare. In particolare il Tevere, il fiume della capitale, fa da sfondo alla mia storia: spettatore e al tempo stesso protagonista, che inghiotte il male di cui trasuda la città per ripulirla ogni giorno e farla tornare a risplendere con le sue meraviglie monumentali, il fascino del centro storico, la bellezza incantevole di ville, chiese e palazzi, le vedute pittoresche e suggestive. Lo stesso Alpi, quando è spinto dal desiderio di allontanarsi e purificarsi dai sensi di colpa, si rifugia sull’argine del fiume, nella zona circostante l’isola Tiberina, con la sua vegetazione solitaria e la sua fauna carnivora e poco acquatica, fatta di ratti e vagabondi, dove lui si sente più protetto rispetto agli edifici della città.

 

Ci sarà un Bestiario Privato 2, secondo te?

Non lo escludo. L’idea per la continuazione del Bestiario privato ce l’ho nel cassetto.

Condividi su Facebook

Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

Tag

Potrebbe piacerti anche...

Apri la chat
Dubbi? Chatta con noi
Ciao! Scrivimi un messaggio per dirmi come posso aiutarti :)