Due vite, due facce, una al sicuro dall’altra. Più la consistenza di quella segreta si addensa, più l’evanescenza dell’altra si gonfia.
L’Avversario è un libro che su chi, come me, vive la molteplicità dell’anima, lascia il segno. Quant’è facile per un uomo creare un solco dentro di sé e scavare fino a restarne intrappolato senza che ne nessuno se ne accorga?
Il giornalista e scrittore francese Emmanuel Carrère in questo romanzo analizza un fatto di cronaca dall’epilogo sconcertante. Carrère è una delle penne francesi più affilate dei nostri tempi e ne L’Avversario sonda l’animo di un uomo spezzato, diviso in due tra una vita ordinaria e il vuoto tenuto all’oscuro da tutti gli affetti.
E fin qui mi rimane facile immaginare un gusto artigianale, profondo, complesso come una crema all’Armagnac e lavanda, una consistenza poco nota abbinata però a panna spray industriale, sparata tutta intorno, finta, studiata per apparire spumosa e perfetta. Come la vita di Jean-Claude Romand, un uomo apparentemente ordinario che, dopo aver sterminato la famiglia, i sui genitori e aver dato fuoco alla sua casa, sopravvive al tentativo di suicidio.
Come se il gelato cadesse a terra e la consistenza della crema si scontrasse con l’asfalto spiaccicandosi, mentre la panna, effimera, limpida, industriale, resta in piedi perché sofisticata dalla chimica. L’epilogo di questa storia è inammissibile, eppure l’anima divisa è molto più ordinaria di quanto si pensi, come una panna industriale, gonfiata e servita su creme abissali, sconfitte.