Questa storia inizia dalla fine. Una donna aspetta, insieme al padre anziano e alla figlia di tre anni, Florencia detta Flor, che vengano a prenderla. Ma chi deve arrivare, magari sfondare la porta, e per portarla dove. E soprattutto, perché? Clara, questo è il nome della protagonista, è una giovane donna che soffre di allucinazioni, ansie paranoiche e disturbi ossessivo compulsivi. Nell’attesa, lei stessa si racconta e ci racconta i tempi dell’aggravarsi del suo delirio. Il mondo esterno può farti a brandelli, la luce che proviene dalle finestre può esporti allo sguardo avido e punitivo dei vicini, che non sono altro che una serie di esseri pronti a disfarti. Per questo, dopo la morte della moglie del padre, con la quale non era mai andata d’accordo, considerando che entrambe, lei, Clara e la defunta moglie Julia, provavano un bisogno di possesso nei confronti dell’uomo, oggetto del loro comune desiderio esclusivo. Clara si stabilisce a casa del padre, lascia il lavoro e decide di riappropriarsi del suo territorio, fisico e d emotivo, cercando di vivere almeno per un po’ con i soldi lasciati da Julia.
Una volta ridiventata l’unica regina del regno, Clara si impegna a impedire ogni contatto del padre con il mondo esterno, al quale concede, sia pure con fastidio, la compagnia del canarino. Quando resta incinta di un uomo di passaggio, Clara pensa di poter enucleare di nuovo la famiglia perfetta e rimediare al senso di estraneità ostile che ha sempre provato con Julia, che la controllava e limitava da bambina. L’unico punto fermo è una vicina, Carmen, che le porta la spesa e al momento giusto l’aiuterà anche a partorire. Dopo la nascita di Flor, però, la sfiducia sospettosa di Clara aumenta a dismisura e la porta a recidere ogni contatto residuo con il mondo. Vede nemici e nemiche ovunque, sovrascrive ogni azione degli altri, anche un saluto la insospettisce, al punto da farle decidere di non andare sul terrazzo a prendere il sole per paura di essere vista e inseguita. Ogni vita al di fuori del suo nucleo familiare è una minaccia alla sua stabilità, al suo equilibrio così precario. Quando i soldi finiscono, Clara si ritrova dover fronteggiare citazioni in giudizio e richieste risarcitorie che la intrappolano.
Le nostre case, i nostri nidi, sono rifugi e luoghi accoglienti ma che, durante la fase pandemica e in quella immediatamente successiva, sono diventate prigioni, luoghi asfittici dai quali a volte volevamo fuggire. Per Clara la sua prigione è la sua mente, il suo peggior nemico, per il quale, a causa del suo isolamento, non trova, né la cerca, una cura adeguata, una possibilità di rientrare nei binari che ci affrettiamo a definire normali e che spesso sono solo il grado di accettazione dei nostri demoni. Non siamo al sicuro. Questo è l’inquietante messaggio di Clara: da quando siamo nati siamo esposti al mondo, dove può accaderci qualsiasi cosa. Possiamo essere fagocitati dai meccanismi della vita che ci chiede di lavorare e di essere solvibile, di curarci quando ne abbiamo necessità. E soprattutto, per restare sani, abbiamo bisogno di toccare altre persone. Fuori dal nostro rifugio possiamo morire ma anche, per fortuna, vivere.
“Se arrivassero in questo momento mi troverebbero supina sul letto, la stessa posizione nella quale mi sono lasciata cadere verso mezzanotte. Le undici e trentotto, per la precisione.
La candela si è consumata da un pezzo e adesso l’oscurità inghiotte le pareti. Sembra che il mondo intero lo sappia e rimanga in agguato solo per me. Non so che ore sono, ma a poco a poco il tempo ha messo fine alla mia paura e a quasi ogni altra sensazione.
È incredibile che io abbia avuto una vita prima di questa, un lavoro, una casa, dei quali però non ricordo nulla. La mia vita vera è cominciata con la morte di Julia”.