C’è questo scrittore che mi sta ispirando. Un po’ John Fante, un po’ Charles Bukowski, ma con le pinze. Tim Winton scrive Il capanno del pastore e io lo scopro e trovo l’intuizione per crescere un po’ nel mio stile di scrittura.
Crudo e diretto. È una nocciola viterbese ancora sporca di terra, tirata su da mani solcate da calli e tagli tutti intorno alle unghie per via dei sassi e delle radici. Lavorata, ben tostata, al limite della bruciatura con latte, panna, zucchero, albume e tuorlo; spacchi le uova sul bordo del tavolo, ne spacchi otto o nove senza che sei attento alla ricetta, perché la perfezione non interessa e non ci sono bilanciamenti di nessun maestro, non ci sono regole scritte, c’è il flusso dell’anima imperfetta che dà voce al protagonista.
Un ragazzo scappa di casa, madre morta, padre morto per sua fortuna, si ritrova a dover sopravvivere da solo dinanzi alle viscere bollenti dell’Australia. Il nostro gelato di nocciola saprà anche di terra, ma dà voce al sapore che porta con sé Il capanno del pastore: sapore di cruda verità.