I legami ossessivi si nutrono delle nostre paure, del nostro sentirci smarriti in un mondo che ci è estraneo, e diventano corteccia e carapace, per qualcuno diventano una casa. Succede questo a India, vittima e carnefice al tempo stesso del suo corpo desiderato e strattonato, ferito e umiliato per sua scelta. India è una studentessa fuori sede e vive piena di una fame che non riesce a saziare, la sua giovinezza e la sua bellezza che suscita desiderio e bisogno di possesso, negli uomini che incontra in discoteca e con i quali consuma sesso veloce e frenetico, ma non privo di piacere, nel suo professore che le impone strani rituali. E poi incontra Leo. E il suo mondo accelera e si rimpicciolisce, chiudendosi come le ante di un armadio su un futuro asfittico e recluso, dove c’è spazio per le loro reciproche ossessioni e poco altro. India ha avuto e ha ancora una madre giovane e violenta, rotta dentro come certe bambole di porcellana, capaci di non far vedere le crepe finché non le tocchi e alle quali basta una piccola pressione per diventare friabili come biscotti. Anche Leo ha un dolore che non ha mai smaltito, il suicidio inspiegabile del padre, e il rimorso di non averlo salvato.
Mentre tutti i suoi coetanei stabiliscono viaggi e progetti, India si ritrova con la sua passione per i Tarocchi, che diventa un lavoro, attenta a non lasciarsi sommergere dalle soverchianti vite delle persone supplicanti che arrivano da lei con domande estreme. Una signora le chiede di verificare se il marito vivrà o morirà, e la scelta della carta non sembra confortarla. Così in un rimando continuo tra passato e presente India ci racconta il suo disagio, il suo essere sempre una persona che gronda sangue dalle ferite emotive che strutturano la sua identità. Quando, dopo aver scoperto la sua relazione con un altro, Leo la chiude in uno stanzino buio lasciandola lì per qualche giorno senza acqua né cibo con solo un tenue spiraglio di luce, India trova un vecchio quaderno e una matita dell’Ikea, un simbolo di normalità che diventa la sua speranza. Le parole, feroci, crudeli, imprigionate sulla carta, la salveranno dal delirio della mancanza di idratazione, dalle allucinazioni. Il messaggio nascosto nei Tarocchi verrà svelato a poco a poco al lettore, ma mai del tutto.
Perché India e Leo si sono incontrati e incastrati nel loro incomunicabile e personale dolore, le botte della madre di India, e il silenzio rifiutante del padre di Leo, e il loro legame è rivestito di una sacralità che neanche la vita diversa di India con un altro ragazzo, a Londra, riesce a cambiare. Quando Leo avrà bisogno di essere vegliato, India andrà a trovarlo, scontrandosi con la pesantezza dell’amore che non smetterà mai di essere luce e tenebra, perché non esiste un legame che non abbia ambivalenze e non sia anche il contrario dell’amore. In quei giorni intensi e febbrili di confronto, India si racconta e ci racconta, senza censure, senza pause, il suo bisogno di visibilità, le sue fughe stordite da un mondo che non accetta le persone sospese, che non appartengono solo alla stabilità della terra. India ha radici fatte di alberi e cieli e piccole cose decomposte, come regali spacchettati in fretta e dimenticati in un angolo, incastrati in uno spigolo, e che da quel punto vivono una vita alternativa. In un altro tempo India sarebbe stata una profetessa con le vesti lacere, che guarda il suo stesso villaggio bruciare, il passo lieve che affonda nella cenere.
Lo spazio occupato dai nostri corpi non è mai abbastanza, confrontato con il peso dei nostri pensieri e desideri, che ci trasporta in un altrove, in un mondo più oscuro e intenso dove il bene e il male sono occasioni che accadono, e si mescolano come il mazzo di carte dei Tarocchi.
“Le giustificazioni sul perché non deviai da te sono infinite: fu colpa tua che mi prendesti così tanto – eri bravo a lusingarmi; furono i nostri traumi che combaciavano alla perfezione; furono gli affetti che ci mancavano da quando eravamo piccoli; fu che al tempo dell’Università – in mezzo alle feste, alle carte, alla mia nullità – mi sentivo davvero minuscola. Avevo sete di qualcosa che non sapevo e che forse non saprò mai. E capitasti tu. Mentre accumulavo scelte, io ti parlai e parlai. La scelta diventò un patto di sangue.
Parlai e non ci fu bisogno che ti spiegassi che avevo solo dei lividi come caratteristica più significativa della mia personalità – nient’altro a ben vedere: stringevo un mazzo di carte e allargavo un sorriso provato più volte allo specchio. Comprendesti subito che non sarebbe servito a niente portarmi via da quel macello, perché non era possibile. Ci ero cresciuta attorno, alle urla di mia madre. Tolte quelle, sarei stata obbligata a rifarmi da zero, e non ne ero capace. Quella era la mia unica forza: vivere nei mei drammi. Proteggerli a ogni costo. Ero vuota come un pugno. Conoscevi quel meccanismo, perché era anche il tuo”.