“Bluets” di Maggie Nelson (Nottetempo)

Il blu è uno stato d’animo, un modo di intendere la vita, la compassione, i rapporti frastornati con il mondo, l’amicizia che ci lega ad altri corpi, il desiderio sessuale, magari violento e mozzafiato.

Ho sempre pensato, e poi detto, traducendo il mio cuore in parole, che Blu è il colore della mia anima, e trovare il libro della poetessa e scrittrice Maggie Nelson è stato un segnale, un invito a credere nell’impulso, a volte, disarticolato, del messaggio che la parte nascosta, quella creativa, invia a quella sensibile, che respira da qualche parte sulla terra. Blu è un colore che Maggie ama, ma non è solo un colore, ma una modalità di intendere le emozioni. Il blu ti entra dentro e ti lascia il suo sguardo tenue e acuto insieme, ti tende una fune per restare connessa a una forma di dolore senza nome. Qualcosa che ha a che fare con l’essere vivi nel mondo, in questo tempo che si snoda davanti ai nostri occhi.

Leggo le sue parole travolta da un senso illogico di speranza, perché a distanza dello spazio che ci separa riconosco nel seguire il blu, o Blue, la traccia che serve per sentirsi bene dentro la propria pelle. Maggie raccoglie le esperienze che del blu hanno raccontato filosofi, scrittori, poeti, nel corso dei secoli (Goethe, Wittgenstein, Eraclito, Platone, Diogene, solo per citarne alcuni), passando attraverso la body art di Yves Klein e l’espressionismo astratto di Joan Mitchell. Le parole di Maggie Nelson sono intrise del più profondo dolore per l’abbandono, potrebbe essere una morte, ma è un abbandono, del resto il trauma della perdita è la stessa, della persona che ama, cercando una specularità nel dolore indicibile e la tagliente perfezione del blu. L’abbandono è al di là della speranza. E ha un colore. Quando la persona che lei ama e continua a volere se n’è andata, indossava la stessa camicia azzurra per lei e per la nuova donna. Il dolore per questa perdita è una ferita con i lembi ancora da ricucire, ed è talmente pura che suggerisce immagini di luce, come la prima luce che ci ha ferito gli occhi e ci ha accolto nel mondo.

Il blu è uno stato d’animo, un modo di intendere la vita, la compassione, i rapporti frastornati con il mondo, l’amicizia che ci lega ad altri corpi, il desiderio sessuale, magari violento e mozzafiato, prima che si stemperi nella serenità di un tramonto che inghiotte i colori più accesi dello spettro del rosso, per trascolorare nella luminosità impavida dei freddi. Cosa possiamo fare quando la luce ci chiude la porta, e l’amore ci rende sensibili e feriti e devastati. Cercare altre strade, guardare tutto quello che tocchiamo e che lasciamo andare come un miracolo, perché avere la capacità di sentire significa in qualche modo essere condannati a una forma di sofferenza. L’assonanza tra il colore e Blue come dolore, e come il Blues, forma musicale amata e perfetta, è quella che cerca l’autrice, che empaticamente sente il dolore e l’amore che gli esseri viventi provano, nel tentativo di superare la depressione per restare attaccata al mondo.

Penso a tutte le cose blu della mia vita, come scrivere con inchiostro blu, invece del nero, sulla carta, alle lenzuola colorate di blu che mi ostino a cercare, alle pietre che mi faccio regalare, e agli oggetti che chi sa mi dona.

È stato difficile lasciar scorrere queste pagine, dove il tono, spesso, si fa bisbiglio, elegia e lamento, dove Maggie rivuole semplicemente il suo amore perduto, e per riaverlo indietro sarebbe disposta a rinunciare al libro che ha scritto. Le parole della scrittrice sono parole che sanno di alba e notte azzurra, di insonnia e di corpi feriti (una sua amica ha perso l’uso delle gambe), e lei cerca di trovare senso al dolore che la circonda nel messaggio quotidiano di piccoli oggetti, nelle parole di altri, nel conforto di corpi tatuati con immagini blu. Siamo esseri umani, e il dolore ci appartiene, come l’amore e la luce.

Quando leggo sento le mie dita cercare un filo di blu, qualcosa che mi faccia sentire protetta nel cerchio di chi, come Maggie Nelson, condivide con coraggio il proprio dolore, per non lasciare che appassisca e maceri ma diventi un sentiero verso un nuovo inizio. Fatto di parole intinte nel blu.

 

“E se cominciassi dicendo che mi sono innamorata di un colore? Se lo raccontassi come una confessione; se ne parlassi tormentando un fazzoletto.

Dunque mi sono innamorata di un colore – in questo caso, il blu – come se mi avessero lanciato un incantesimo, un incantesimo contro cui io combatto, di volta in volta, nello sforzo di restarne in balia o di sottrarmene.

Ma che genere di amore è, questo? Non illuderti pensando al sublime. Ammetti di essere rimasta immobile in un museo davanti a una teca contenente un mucchietto di pigmenti blu oltremare in una coppa di vetro, e di aver provato un desiderio lancinante.

Una cosa che non ti dicono, quando sprofondi nel blu, è che non smetti mai di cadere perché è senza fondo.

Sto scrivendo con inchiostro blu come per ricordarmi che tutte le parole, non solo alcune, sono scritte nell’acqua”.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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