“La vita delle rocce” di Rick Bass (Mattioli 1885)

I protagonisti di questi racconti camminano sul filo sottile del baratro, dell’inazione e dell’auto sabotaggio, e anche quando provano a salvarsi riportano una serie di cicatrici che sono destinate a trasformarli.

Legami intensi tra persone, animali e vita minerale, panorami emotivi che rispecchiano i luoghi, aridi e desertici oppure devastati da tempeste di neve che isolano pezzi di territorio. I protagonisti di questi racconti sono umani che vivono in condizioni di disagio, in luoghi pericolosi, ma è il pericolo stesso a dare senso alla loro stessa vita. Sono tutti sospesi, in attesa di una primavera che renda possibile il contatto tra vicini, separati da nevicate e inverni inclementi, oppure asfissiati da un’estate texana, alla ricerca di frescura che conceda tregua alla luce impietosa e accecante.

C’è una ragazza che non riesce a sposarsi perché il fidanzato è morto, a causa di una nuotata imprudente, e trova conforto nel picchiare l’amico sopravvissuto, che non ha potuto impedire l’evento. Il contatto fisico violento è una forma di sfogo ma non solo, è un modo, potente, di riaffermare l’energia vitale dei sopravvissuti, orfani della devozione verso lo scomparso. Quel contatto diventerà meno violento fino a diventare uno spazio di conforto che li salverà entrambi dalla disperazione e riusciranno a perdonarsi il fatto di essere ancora vivi.

Frammenti della fine dell’adolescenza di due ragazzi che, dopo aver preso la patente, per vincere la noia e nella maniera sconclusionata tipica dei ragazzini, decidono di comprare dei capi di bestiame, non si sa se per venderli o per farci altro. Il fatto che abbiano pochi soldi li costringe a comprare degli animali difettosi, che si liberano prima di arrivare a destinazione e fuggono, senza che nessuno provi a riprenderli, nella vastità del Texas meridionale. Come un detonatore, che rende uno adulto e l’altro che ancora arranca, è l’incontro con una ragazza, figlia di un allevatore che di fatto non vuole che lei abbia contatti con l’esterno, le insegna a casa, ma non riesce a impedire al corpo della figlia di essere attraente. La ragazza, ai due amici, fa l’effetto di un animaletto eccitante, e la relazione di uno di loro con lei, confusa, relegata al periodo estivo, sarà una frattura nel territorio sicuro dell’amicizia dove entrambi scopriranno che hanno segreti che non riescono a confidarsi.

Un padre, sul punto di separarsi, porta le figlie a trovare un albero di Natale, e a causa della sua dimenticanza, finiscono con il trovarsi appiedati, e seguiti da un puma. Il fatto di essere l’adulto pone il padre di fronte ai suoi evidenti limiti, che deve reprimere il terrore e fare coraggio alle figlie. In un altro racconto troviamo lo stesso terzetto, dopo la separazione, con il padre ormai sull’orlo della bancarotta, che ha bisogno di raccontarsi che può ancora, prima che le ragazze partano per il college, e in generale per la vita adulta, essere il padre che avrebbe dovuto essere. Non essere capace di proteggere le figlie ribalta il rapporto di forza quando le figlie si accorgono che è ubriaco, quando cercava di superare la dipendenza. E tuttavia non smettono di amarlo, nonostante siano consapevoli che non possono più essere protette.

Tutti i protagonisti camminano sul filo sottile del baratro, dell’inazione e dell’auto sabotaggio, e anche quando provano a salvarsi riportano una serie di cicatrici, non sempre visibili, ma che sono destinate a orientare il loro cammino nel futuro, a plasmare le persone che scelgono di diventare oppure quelle che, con meno coraggio, finiscono per subire le scelte degli altri. Il loro slancio a volte viene frenato, il bisogno di affetto, di condivisione, non sempre trova un riscontro positivo, ma vivere coltivando piccole speranze è il modo che hanno per cercare di superare il buio. L’autore, nel legame a tratti anche violento tra uomo e natura, cerca di dare la sua personale risposta a cosa resta di noi, quando le nostre ossa umide saranno scomparse e assorbite dalla terra. Siamo qualcosa di più che polvere, se proviamo a uscire dall’oblio cercando di lasciare tracce sulle rocce, come agli albori della civiltà, sulla carta o nella vita degli altri. Tentiamo di resistere alla solitudine e alla paura. Con quello che abbiamo.

 

“Lilly poteva immaginare il fumo di sigaretta, e l’espositore polveroso di mentine rinfrescanti Certs vicino al decrepito registratore di cassa. S’immaginava Martha Scanlan che accordava la chitarra, cominciando già a prepararsi, con molti giorni d’anticipo, per questa pessima idea del concerto. Era pubblicizzato insieme a un barbecue. Magari la stessa tempesta che si era abbattuta su Lilly e suo padre la notte prima adesso stava sferzando Martha, fuori dalla prateria e in qualche altro posto, fuori nelle Badlands.

Si erano fermati invece a un camping Koa lungo il fiume, mentre un’anziana coppia stava giusto aprendo il proprio negozio, anche se mancava ancora qualche minuto alle sette. Vicino all’entrata  del negozio, un capanno di tronchi, c’erano dei cespugli di rose rosa e gialle in fiore – a casa le rose non sarebbero sbocciate prima di un’altra settimana o due – e la tempesta aveva reciso numerosi petali, che erano sparsi sul suolo bagnato come monetine”.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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