Giovanni Pascoli guardò il telegramma appena giunto da Parigi. Gabriele D’Annunzio gli scriveva un lunghissimo messaggio di cordoglio per la morte di Giosuè Carducci in cui si rammaricava di non aver potuto essere presente, a causa dell’“esilio francese”, di rendere il doveroso omaggio al Vate d’Italia.
Alla parola “esilio” Pascoli sbuffò spazientito: lo sapevano tutti che D’Annunzio era scappato a Parigi per sfuggire ai suoi tanti creditori ma il Pescarese, con l’abilità che lo caratterizzava, si era travestito da Poeta incompreso che aveva lasciato, sdegnato, il Paese natio che non lo omaggiava abbastanza.
Il telegramma, ridondante e retorico, si chiudeva con la preghiera di baciare la fronte dell’illustre Poeta per suo conto.
Pascoli pensò a Carducci, suo professore all’Università di Bologna, che lo aveva sempre sostenuto e aiutato, con grande generosità. Lui aveva ricambiato con un affetto sincero venato da una soggezione reverenziale che non era mai riuscito a superare.
Ora avrebbe dovuto rispondere all’“esule” che non faceva troppo mistero di aspirare alla cattedra vacante di Vate.
Pascoli si avvicinò al piccolo scrittoio di legno scuro dove sua sorella Maria aveva schierato i ritratti di tutti i loro cari che occhieggiavano da dietro i vasi ricolmi di fiori.
“Baciata la fronte. Firmato Giovanni Pascoli”, non si sentiva di scrivere altro sul foglietto che lasciò piegato sul mobile. Doveva ricordarsi di consegnarlo a Maria la prossima volta che sarebbe scesa a Castelvecchio per la spesa.
Bibliografia:
Giovanni Pascoli, Poemi italici, Zanichelli;
Giovanni Pascoli, Canti di Castelvecchio, Zanichelli.