Ingrid vive e lavora all’interno di una lussuosa nave da crociera, ruotando le mansioni lavorative nel settore dove a intervalli periodici la assegnano, e trascorre il suo tempo libero giocando a parodie di giochi infantili con i suoi amici, anche loro dipendenti della compagnia navale, Mia ed Ezra. Ma Ingrid ha un complesso legame con il tempo sospeso a bordo della nave, un tempo rarefatto, instabile e denso di apatia al tempo stesso e che trascorre senza che accada davvero nulla di notevole. Lei, in cerca di una forma di tregua alla fine di un matrimonio, alla passione smodata per gli alcolici e la conseguente perdita di controllo che ne ricava, desidera solo che tutto scorra privo di emozioni, confusa sulla destinazione della crociera e sulle tappe sulla terraferma.
La nebbia emotiva di Ingrid si arresta quando il capitano della nave la convoca per parlarle dell’arte del Wabi Sabi, l’arte giapponese basata sulla transitorietà e sull’imperfezione delle cose e delle persone. Affascinata dalla possibilità di accettazione dei suoi difetti, cosa che le offre una forma di comprensione della sua difficoltà ad accettare le sue proprie oscurità e ambivalenze, Ingrid decide di entrare in un programma di mentoring per i dipendenti, proposto dallo stesso Keith, che comporta, tra le altre cose, una serie di sedute di psico-confessioni, atte a ricreare i traumi passati e a generare la consapevolezza delle scelte compiute.
Nelle sue scorribande fuori dalla nave, Ingrid sente l’aria assottigliarsi, e si rifugia nella possibilità di ottenere qualcosa, che cosa non sa ancora bene, accettando le proposte trasgressive di Keith, fino a decidere di farsi amputare una falange. Il tempo continua ad avvolgersi su sé stesso, in una spirale che non è malvagia, né amichevole, fino a quando arriverà a logorare il sogno di felicità insito in ogni crociera, dove si rivela la fragilità dei legami umani, che pure creano una illusoria forma di familiarità durante il tempo trascorso insieme. La realtà diventa un mondo da sperimentare e anche da temere, i confini erosi dalle rivelazioni, impossibili da ignorare.
Il pezzetto luccicante del mondo offerto dal divertimento, presunto, mostra le fallibili credenze dei passeggeri, dipendenti compresi, il loro fluttuare in una forma di bidimensionalità non adatta alla stabilità della terra. A poco a poco noi lettori veniamo risucchiati in una scatola delle possibilità, scossi delle ombre nascoste dietro l’affannosa ricerca del benessere, e ci dovremmo chiedere cosa si nasconde dietro la saldezza dei rapporti che curiamo, e quanto di noi è vivo e reale attraverso i desideri e le proiezioni degli altri.
Appoggiai una mano al basso ventre, la sede dei miei vari desideri. Ripensai al mio vecchio appartamento, alla vita con mio marito, a quanto fossi consumata dal bisogno. Era l’unica cosa che mi faceva andare avanti. Appagare un desiderio non era mai all’altezza del desiderio stesso, ma non appagarlo era una cazzo di catastrofe. Devo essere migliore, pensai, devo essere brava. Cominciai a ripetermelo mentalmente. Devo essere migliore. Devo essere brava. Ogni tanto certe voci dal mio passato interrompevano il mantra ma io le sovrastavo, alzavo il volume dei pensieri, salmodiavo con più urgenza. Devo essere la versione migliore di me. La migliore. A un certo punto devo essermi addormentata. Al risveglio ero fradicia.