In poco più di cento pagine, dense di vicende, intrecci e riflessioni, viene affrontato con coraggio, lucidità e disincanto il tema della morte attraverso lo sguardo ora amorevole ed empatico, ora risentito e vendicativo, ora straziato e imprecante dei vari personaggi, i cui punti di vista si susseguono nella narrazione seguendo giorno per giorno, dal lunedì alla domenica, la sequenza biblica della creazione. Il risultato è un libro potente, profondo, che colpisce le viscere con la spietatezza indispensabile del patologo che, affondando il bisturi, indaga sui misteri della morte.
Tutto ruota attorno a un personaggio, Rosa, che, in seguito a un evento drammatico, che ha modificato radicalmente la sua vita, ha dovuto abbandonare il proprio lavoro di infermiera in corsia per dedicarsi alla preparazione delle salme prima che vengano esposte ai parenti. È un lavoro che svolge con dedizione, cura e rispetto, conscia della sacralità di quell’ultimo momento e della dignità con la quale i morti devono presentarsi ai loro cari prima di scomparire per sempre. Dietro all’impegno e alla sollecitudine di questo suo lavoro traspare fin dalle prime pagine il dramma della sua esistenza segnata dall’infanzia dall’abbandono del padre, che Rosa non ha mai conosciuto, dalla rottura dei rapporti con la madre, persona anafettiva, la cui esistenza è stata a sua volta segnata da un evento drammatico, che è stato la causa di quella rottura, e da un difficile rapporto con il figlio, per il quale Rosa ostenta un poco credibile disprezzo. C’è infatti in lei una certa durezza, la durezza di chi ad appena cinquant’anni sembra non avere più nulla da aspettarsi dalla vita. Gli affetti (quello filiale, quello materno e quello coniugale) si sono prosciugati, lasciando un deserto nel suo cuore, e le doti di empatia e amorevolezza che accompagnavano il suo lavoro di infermiera sono state sostituite da una rassegnata, sebbene rispettosa e partecipe, cura per chi è in partenza per l’ultimo viaggio. A scaldarle un poco il cuore restano i ricordi delle sue estati da bambina nel paese dei nonni e una relazione senza prospettive con un uomo sposato, il dottor Luciani, medico nel suo stesso ospedale, ancora affettivamente legato alla moglie e alla figlia. È una relazione questa che però la fa sentire un po’ “bottana”, termine che da bambina aveva sentito usare da suo nonno a proposito di sua madre così come, sempre da lui, aveva sentito usare la parola “danno” a proposito della sua venuta al mondo.
Attorno a Rosa, come dicevamo, ruotano altri personaggi, legati in un modo o nell’altro ai morti di cui lei si prende cura.
Ci sono Martina e Stefano, divenuti cinici e refrattari al dolore per la condizione, divenuta ormai una “costante nella loro vita”, di orfani di madre, i quali davanti alla salma della sorellastra Ramona, prediletta dal padre e “bella anche da morta”, provano la torbida soddisfazione di vederla finalmente strappata all’adorazione del genitore e privata dell’eredità esclusiva che lui le aveva lasciato. “Il disprezzo per Ramona ci unisce nel cinismo” dice Martina, soddisfatta delle “lacrime del padre”, vissute come un “riscatto” per le sue sofferenze e per quelle di suo fratello, ma anche tormentata da ingiustificati sensi di colpa per non aver saputo da bambina impedire la morte della madre.
C’è poi la giovane libraia Melissa che scopre l’orrenda fine dell’amico somalo Ahmed, calzolaio nella stessa via dove lei ha la libreria, massacrato di botte da una teppa di razzisti dopo una dura vita da emigrante dedicata al mantenimento della moglie e della figlia, sopravvissute alla violenza assassina dei signori somali della guerra, che hanno ucciso i due figli maschi di Ahmed e stuprato la figlia, rendendola muta. Melissa, che è cresciuta in una casa-famiglia, si sente orfana di fronte alla salma di Ahmed, che era diventato per lei padre e madre allo stesso tempo. Si assumerà lei il compito di avvisare della morte di lui la moglie e la figlia Luna, con la quale da tempo mantiene un rapporto epistolare, e di far trasportare la salma in Somalia, assecondando il desiderio della moglie.
C’è infine una madre straziata di fronte alla salma del suo bambino morto di leucemia. Al suo dolore si unisce in pagine di intenso lirismo quello di uno dei portantini, Luca, che dismette le usuali vesti del lavoratore avvezzo alla routine per lasciarsi andare ad accorate riflessioni sull’ingiustizia della vita e sulla crudeltà di chi la governa, accanendosi sulle sue creature più innocenti. Luca, che era stato molto vicino al piccolo durante la sua malattia, gli aveva regalato, giocando con lui, un momento di grande gioia proprio nei suoi ultimi giorni, quando era ormai privo di forze. Dice la madre del bimbo: «Se devo fissare nella mente un solo istante di gioia per ricordare mio figlio, voglio sia questo gesto di abbandono totale, di fiducia pura verso l’amico, un amore così intenso e vero di cui solo i bambini sono capaci».
Le storie dei personaggi, che hanno come punto d’incontro il “regno” sotterraneo e desolato di Rosa (“Un palcoscenico infinito di dolore dove è rappresentato quotidianamente uno spettacolo macabro che non ha pause”), si intrecciano man mano che procede la narrazione, facendoci scoprire nuove connessioni, nuovi punti di vista e nuove verità, fino a portarci alla rivelazione del fatto misterioso che ha mutato radicalmente la vita della protagonista e delle persone a lei legate. Il caleidoscopio dei punti di vista, che ci viene offerto dal mutare continuo della voce narrante e dagli innesti delle storie l’una sull’altra, diventa lo spunto per molteplici riflessioni su quello che è il tema portante del libro: la morte e ciò che essa in noi suscita. Troviamo allora lo sgomento, lo spirito di ribellione, il cinismo, l’opportunismo, la ricerca di consolazione, il rifugio nel misticismo.
Il dottor Luciani davanti alla salma di Ahmed dice: «Cosa siamo in fondo? Una complessa e perfetta macchina biologica? Un involucro di consapevolezza? Dei missionari d’esperienze destinati a lasciare traccia del nostro passaggio? Anime trasmigratorie? Uomini in cammino? Tabernacoli di eternità?»
Rosa, in vacanza in Grecia ai tempi del liceo, vede un gatto sopra uno scoglio poco dopo il salvataggio di una bambina che stava per annegare e immagina che quel gatto sia la reincarnazione di sua nonna. Decide allora di farsi tatuare sull’avambraccio la dea Bastet, divinità egizia con testa di gatto e corpo di donna. Seguono riflessioni sulle sette vite dei gatti, sulla reincarnazione e sul significato simbolico del numero sette nella filosofia greca antica e nelle religioni cristiana e buddista.
Martina, la sorellastra di Ramona, dice a proposito del desiderio umano di immortalità: «Ma poi, chi è davvero che vuole vivere in eterno? Chi è quel pazzo che vuole respirare e soffrire per sempre?»
La madre del bambino morto lamenta la fragilità degli uomini, la loro incapacità di affrontare il dolore: «Mio marito invece non ce la fa! È a casa. Per lui il dolore è un sentimento privato. Intimo. Da non condividere. È stato distante tutto questo periodo. Invece io ho attraversato le fiamme della disperazione senza nessuno a fianco».
Fragili e vili si presentano gli uomini anche di fronte alle scelte sentimentali: il papà di Rosa abbandona la madre dopo averla messa incinta, suo marito fugge via dopo il fattaccio che le ha stravolto la vita, il suo amante, il dottor Luciani, è costantemente indeciso tra lei e la moglie. Non mancano però esempi di forza e dignità come quello di Ahmed, il calzolaio somalo, che sacrifica la sua vita per la famiglia.
Lo stile è costituito da frasi brevi, incalzanti, incisive, che ti afferrano e ti trascinano nelle vicende narrate, facendoti vedere i fatti e i personaggi in presa diretta. Il linguaggio, modulato secondo la condizione sociale, culturale e psicologica di chi parla, trasmette, anche grazie all’uso del dialetto come nel caso dei portantini, un forte senso di realtà e di immediatezza.
La narrazione, quasi a simboleggiare il ciclo della vita che eternamente si distrugge e si rinnova, procede in modo circolare, chiudendosi laddove si era aperta, nel cimitero di provincia dove Rosa giocava da bambina.
Alla fine delle poco più di cento pagine di questo libro intenso e struggente, dove il mistero dell’evento che ha sconvolto la vita della protagonista ci spinge ad addentrarci in un intreccio di storie pregne di dolore e umanità, ci resta una riflessione lucida e disincantata sul significato della vita e il calore di un tributo amorevole e profondamente empatico nei confronti di chi assiste sgomento alla partenza di una persona cara per il suo ultimo viaggio.