La Cina è una terra di paradossi e di confini emotivi e fisici tanto labili quanto invalicabili. Non si sa niente dei pensieri segreti degli altri; eppure, nonostante una certa diffidenza, la comunità si organizza per prestare soccorso e assistenza in nome dell’ideologia del partito, tutto per il bene del popolo. Sia che si tratti di expat, ormai inseriti nel sistema di vita americano, sia che si tratti di abitanti incardinati nelle città o nei piccoli centri urbani, i protagonisti sono presi dal loro anelito di arrivare a qualcosa di più di quello che gli viene riservato dalla sorte. Un frutto creato in laboratorio, dolce e succoso, fa riemergere sensi di colpa seppelliti, sgarbi e falsità che hanno danneggiato qualcuno, e ben presto il solo ingerirlo diventa un profluvio di lacrime e di confessioni pubbliche che imbarazzano i vertici politici, fino al ritiro completo del frutto dal mercato, e la scomparsa improvvisa del suo creatore.
Una ragazza americana scopre che in realtà non conosceva affatto il marito cinese, morto suicida per una cattiveria perpetrata ai danni di un compagno di scuola più brillante di lui, la cui morte è diventata la sua occasione per ottenere una borsa di studio all’estero e non tornare più nei luoghi dell’adolescenza.
Una ragazza cinese convive da 8 anni con il compagno americano e si accontenta delle sue promesse, non mantenute, di restare fedele, consapevole che per lei, lui, Eric, rappresenta il giusto lasciapassare per restare in America, il paese bellissimo, che è appunto il nome cinese dell’America. Questo rapporto sul punto di sgretolarsi è la sua ragione di vita e di saldezza emotiva, più del lavoro e delle amiche che la mettono in guardia dai tradimenti del compagno. Pur sapendolo lei aspetta, aspetta che lui le chieda di sposarlo, dando stabilità al suo essere straniera.
Accanto a ogni storia evidente, lineare, c’è una storia nascosta, quasi segreta, come un’ombra traslucida e sghemba, una sorta di asfissia potenziale, in un paese che ammicca al lusso sfarzoso dei concorrenti USA e che, al contempo, si affanna a reprimere e a punire ogni forma di contestazione.
Due gemelli hanno due carriere diverse, il ragazzo si accontenta di diventare chef in un ristorante, mentre la sorella, più brillante e portata per lo studio, viene a contatto con le notizie sulla censura e si unisce alla contestazione pubblicando video scomodi sui social, decisa a non rinnegare la propria anima, e così facendo perde tutta la sua vita di studentessa candidata a un futuro professionale luminoso.
I disordini di Piazza Tienanmen vengono sussurrati, spesso solo accennati, e sono eventi di cui non si parla e di cui i giovani sono all’oscuro, se non quando, distrattamente, in famiglia, tra la preparazione del pranzo e il bucato da stendere viene svelato che la miseria e la povertà familiare trae origine dall’impetuoso slancio del padre, allora giovane tassista, che è stato ferito e ha perso la licenza.
In Cina si dimentica il passato inglorioso seppellendolo o ignorandolo, e quello che non può essere messo in discussione è la portata, talvolta kafkiana e surreale, di un mondo che si ripiega su sé stesso e circoscrive le libertà al servizio del governo, capace di stroncare vite o di migliorarle all’improvviso.
Quando i passeggeri di un treno metropolitano rimangono bloccati sulle banchine a causa di un guasto, e il tempo si allunga e diventa poroso, tutti cominciano a sviluppare nuove forme di sopravvivenza: gli viene permesso di oziare, gli viene dato da mangiare quello che vogliono, i bambini vengono riforniti di giocattoli e albi per colorare, gli adolescenti ricevono videogiochi e gli adulti soap opera, partite e un karaoke per divertirsi. Il telegiornale comincia a fornire notizie di crisi economiche raccomanda ai cittadini di chiudere a chiave le porte, in modo che la sensazione dei rifugiati sulla banchina sia quella di essere scampati al malessere serpeggiante, che hanno messo in pausa. Poco importa che non possano andare da nessuna parte e che il tempo trascorso lì in attesa si sia allungato, con le guardie che usano taser e balbettanti quanto ridicole frasi di rassicurazione. Il mondo è tentacolare e pieno di obblighi, lì alla fine hanno ritrovato un equilibrio, e in definitiva non vogliono muoversi. Unica voce dissidente è una ragazza, pronta a cogliere il raro segnale di libertà, lasciandosi dietro un improvvisato fidanzato del tempo sospeso e i sonni di dodici ore, anche nel pomeriggio.
Questo è il mondo che ha pareti di gabbie sottili, come in Matrix, prigioni senza odore, che ci tengono stretti, con i nostri piccoli trofei che strutturano la nostra vita. In qualche modo siamo tutti schiavi delle nostre paure e dei nostri pezzettini di benessere, conquistati in cambio di rinunce e di compromessi, a volte troppo difficili da sopportare.
Prendo la mano di Eric e la studio, lui mi avvolge le dita in una stretta affettuosa. Conosco quest’uomo da più tempo di quanto conosco chiunque altro, penso. Non si contano i pasti e i viaggi in macchina che abbiamo condiviso, i nostri spazzolini stanno uno accanto all’altro da quasi dieci anni. È debole, penso, ma anche gentile, di buon cuore, e in momenti come questo mi dico che può bastare.
La pioggia viene giù ancora un po’ e poi all’improvviso inizia a diradarsi. Poco prima di alzarci e andare via, Eric indica l’ingresso della piccola cappella con un cenno del mento scolpito “Un giorno toccherà a noi cetriolina” mi fa tutto soddisfatto.
Me lo dice con l’aria di chi sta ammirando un tramonto bellissimo all’orizzonte, e, dopo un’esitazione quasi impercettibile, rispondo di sì.