Lo scetticismo di Roma è ben presente nel romanzo. Tanto per cominciare nel protagonista, Riccardo Anselmi, direttore di un’agenzia di assicurazioni che non fa concessioni al soprannaturale. Poi, ci sono quei passaggi del romanzo da cui emerge l’inerzia nella pulizia delle strade, o un certo lassismo o disinteresse per la cosa pubblica. Però, insieme a questa faccia di Roma ne coabita un’altra, quella che mi interessa veramente e mi affascina: la Città Eterna che trasuda storia da ogni pietra, con un’anima nascosta e perturbante. È la Roma dei mitrei sotterranei, dei personaggi sanguinari come Mastro Titta, dei palazzi barocchi e, infine, del Cimitero acattolico inglese nel cuore di Testaccio.
All’inizio inserisci tre citazioni sulla passione criminale nelle donne, di Mastro Titta, Shakespeare ed Euripide, vedi nel femminile un animo violento?
Le donne nella storia hanno subito persecuzioni in quanto “streghe” e tutt’oggi sono vittime di efferate violenze, come purtroppo dimostra l’alto numero di femminicidi che avvengono in Italia. La storia di Emma, a sua volta vittima di violenza, vuole essere una storia di emancipazione e di riscatto, ma lancia anche un monito: la violenza che porta violenza è una catena da spezzare. Nel mio romanzo i ruoli di vittima e carnefice si invertono, in un’alternanza che vuole porre l’accento su questo aspetto. Il personaggio del mio romanzo si ispira alla Medea di Euripide, o a Beatrix Kiddo di Kill Bill. Questi sono i modelli a cui mi sono ispirato per Emma Anselmi, la pittrice di nudi femminili, moglie del cinico assicuratore. Ho provato a fare rivivere l’archetipo tragico delle baccanti nella Roma di oggi.
Credi nel soprannaturale, che attraversa questa storia, oppure ti piace solo giocarci con le parole?
Il soprannaturale si insinua in tutta la storia, dapprima in sordina, poi in maniera sempre più invadente. Mi piace l’idea di avere scritto un gotico romano, o thriller esoterico, in bilico tra la complessità psicologica dei personaggi e la presenza aleggiante di qualcosa di oscuro e fatale, che interferisce con la loro capacità di agire. L’elemento scatenante del soprannaturale nel mio romanzo è il Baccanale, un quadro donato da un corniciaio inglese, William Blackwood, ai coniugi Anselmi. Si tratta di uno spunto narrativo fantastico, ma ciò non toglie che io condivida con i personaggi del romanzo quel senso di apertura al Mistero.
Un ruolo importante nella vicenda lo riveste il Cimitero Acattolico, c’è qualcosa che ti lega a quel luogo?
Nel Cimitero degli artisti e dei poeti di Testaccio è sepolto il poeta inglese John Keats, morto di tubercolosi a Roma in giovane età. Keats aveva un tipo di sensibilità ricettiva ai misteri della Natura, capace di dischiudere ed evocare mondi invisibili. Le sue liriche sono una potente magia.
Come ti è venuta l’idea di un quadro stregato, il Baccanale, che è al centro della storia?
L’idea mi è venuta dopo un incontro fortuito con un corniciaio romano nel quartiere Monteverde. Un giorno, che ero in compagnia di mio fratello, il corniciaio che non conoscevamo ci voleva regalare un quadro. Forse gli ispiravamo simpatia. Ne aveva una collezione intera in una stanza adiacente al negozio. Non accettammo l’offerta, per quanto generosa, ma l’episodio mi colpì al punto che cominciai a fantasticarci sopra.
Pensi che in questo romanzo l’orrore sia più importante dell’amore o si compensano?
Si compensano. Per trovare l’amore occorre uscire allo scoperto, trovare il coraggio di liberarsi dal labirinto delle proprie paure e, cosa ancora più difficile, mettere in gioco la propria identità. A volte è affrontando l’abisso delle proprie insicurezze che si raggiunge l’amore.
Un altro elemento decisivo è quello del doppio, giusto?
Sì, è così. Il tema del doppio, della pittrice che nei suoi nudi femminili cerca la propria identità e quella della gemella, è molto forte nel romanzo… ma non vorrei svelare troppo.
Chi sono gli autori che ti hanno ispirato mentre scrivevi questa storia?
Sicuramente Stephen King per la figura del corniciaio inglese, liberamente ispirata a Leland Gaunt di Cose preziose. E poi, Shirley Jackson, Tommaso Landolfi, i racconti di fantasmi di Henry James, per citarne solo alcuni. Il romanzo, però, deve molto alle suggestioni della Trilogia delle madri di Dario Argento e a Operazione paura (Kill, Baby, Kill) di Mario Bava.
Lavori da anni come giornalista televisivo, quindi sei abituato a scrivere, ma scrivere un romanzo è un’esperienza nuova per te?
Ho scritto la mia prima prova di romanzo negli anni dell’università a Napoli. Si intitola Anelli di fumo ed è rimasto nel cassetto; poi ci ho riprovato con La biblioteca segreta, romanzo inedito ispirato alle opere di Umberto Eco, con cui ho partecipato al Premio letterario Calvino. Diciamo che La luna del Sabba è il primo romanzo scritto e concepito con l’intenzione di pubblicarlo. Considero questa opera prima come l’esito di un lungo percorso di ricerca, che è perciò anche un punto di partenza. Il giornalismo è una mia passione da sempre e il mio lavoro da una ventina d’anni. Ci ho investito e continuo a investirci gran parte del tempo e delle energie. La scrittura creativa, invece, è un bellissimo hobby che mi accompagna come un amico discreto e fedele.
A leggere La luna del sabba pare quasi di seguire le scene di un film, hai mai pensato a una trasposizione cinematografica?