C’è qualcosa che rende unici alcuni libri, che li fa sollevare dalla massa quasi indistinta che affolla le librerie reali e virtuali. Talvolta è il tipo di narrazioni che contengono, altre volte l’autore che li scrive. Nel caso di questa raccolta di racconti, Dagli Appennini a Saturno di Paolo Bartalini (L’Erudita 2023), si tratta di entrambe le cose. Prima di tutto perché il libro raccoglie alcune brevi storie originali e inconsuete proprio ben scritte, con una grande attenzione alla parola e alla lingua, e poi perché l’autore è un ricercatore, uno scienziato che si occupa di Fisica delle particelle e Cosmologia. Ma è anche un insegnante. E poi ha sostanzialmente girato il mondo. Dall’Italia, dove è nato, si è trasferito prima al Cern di Ginevra, poi in Cina a Wuhan, e adesso vive e insegna in Francia. E tutti questi giri non gli hanno fatto perdere il senso delle radici e dell’infanzia che infatti si respira chiaramente nel libro. Ma non è assolutamente l’opera di un cervello in fuga – come si dice ora – o di un emigrante di lusso, piuttosto il lavoro narrativo di un autore raffinato, che sa attraversare agevolmente i territori della scienza come quelli del puro racconto. A me è toccato di leggere alcune di queste storie mentre erano in formazione e devo dire che adesso, aperto il libro appena pubblicato, mi si è disegnato sul viso un sorrisetto complice già alle prime parole scritte, anzi pronunciate dalla voce con il tono volutamente infantile, dal ragazzino protagonista del racconto d’apertura, La classifica: “Anche se tanta gente fa finta di niente, la cosa più importante della vita è sicuramente la classifica. Non la mettono quasi mai in prima pagina ma io c’ho il dito allenato e tac, «La Gazzetta» e «Il Tirreno» s’aprono sempre al punto giusto. Serie A, so già la risposta eppure ci passo le ore ad ammirarla: al primo posto sempre la grandissima Juventus! Qualcuno dice che si comprano le partite ma, se anche fosse, io proprio non capisco cosa ci sia di male. Se c’ha i soldi uno li mette dove vuole, l’importante è vincere o meglio non perdere posizioni in classifica, che se cominci a scendere non sai più dove ti puoi ritrovare, un giorno”. Valeva la pena dedicare a Paolo una delle mie consuete chiacchierate con l’autore.
Il titolo Dagli Appennini a Saturno ci porta dal libro Cuore allo spazio, volevi unire il passato al futuro?
Penso proprio di sì. È d’obbligo per me riconoscere i crediti verso la letteratura italiana per bambini di fine ’800. Il mio riferimento principale – almeno in teoria – sarebbe Pinocchio, eppure, a posteriori, ho dovuto riconoscere che il microcosmo di Dagli Appennini a Saturno deve molto di più al libro Cuore. Il narratore de La Classifica, il primo dei racconti della mia raccolta, potrebbe essere un Franti che verso la fine ’900 incontra un insperato successo e che nel nuovo millennio, anziché in galera, te lo ritrovi come cinico responsabile delle risorse umane del Saturn fried cheese. Permettimi però un’ulteriore riflessione suggeritami dalla tua domanda: che cosa volevo fare? Ecco, io francamente prima di mettermi a scrivere e ancora mentre stavo scrivendo proprio non sapevo dove sarei andato a parare! Ho la sensazione che i veri motivi della scrittura siano molto più chiari soltanto dopo aver scritto; vivo la scrittura come un’attività di ricerca e i momenti di rivelazione sono una sorpresa per me in primo luogo. Se riesco a sorprendermi di quello che scrivo allora forse è uscito fuori qualcosa di buono, e non voglio certo vendere questa poetica come mia perché la prima volta, qualcosa di simile, l’ho sentito dire a Caparezza.
In quanti anni hai scritto i racconti di questa raccolta?
I racconti sono stati scritti in un arco di tempo di circa 10 anni, dal 2010 al 2020.
Perché una raccolta di racconti e non un romanzo?
Credo che non ci fosse una vera alternativa. Di certo, come hai notato, i racconti di questa raccolta sono legati da qualcosa di profondo: i loro personaggi principali potrebbero essere tutti compagni di classe del nuovo Franti fotografati in momenti diversi della propria vita. Se la scuola di Cuore è a Torino, quella di Dagli Appennini a Saturno si trova sicuramente nella provincia Toscana, in un luogo imprecisato che sta tra gli Appennini e il mar Tirreno. Anche il mio libro è caratterizzato da un incipit diaristico ma mi sono presto reso conto di non poter assolutamente restare imbrigliato nella sobria omogeneità stilistica che di solito caratterizza il genere romanzo. Ad esempio ne Gli scheletri degli angeli, il secondo racconto della raccolta nonché il primo della mini-saga dedicata alla famiglia Silvestrini, avevo bisogno di un narratore in seconda persona, una voce fuori campo che parlasse a Lucia facendo riemergere il suo primo preziosissimo ricordo. Ci sono perfino racconti che adottano il genere epistolare, a me molto caro; è questo il caso dell’ultimo atto della mini-saga: la lettera, praticamente, compie il percorso inverso di quello del noto racconto incluso nel libro Cuore, perché è indirizzata a Lucia, che vive in un paese degli Appennini, e proviene da Esquel, una cittadina della Patagonia che si trova ai piedi delle Ande.
C’è nei tuoi racconti spesso una sensazione di nostalgica malinconia, ti rivolgi frequentemente al passato?
Credo che questa malinconia attenga al rapporto con l’infanzia, certo, nostalgia per le corse a perdifiato sugli argini del mio fiume, ma anche per quei figli che non avevo e che paradossalmente sarebbero piuttosto arrivati nel futuro, subito dopo aver scritto quei racconti i cui protagonisti principali sono appunto dei bambini: ho conosciuto colei che sarebbe diventata mia moglie nella full immersion estiva di una scuola di scrittura, proprio mentre stavo scrivendo Cucina al Plasma.
Si nota il tuo gusto per i giochi di parole, cos’è per te il linguaggio?
Penso che la prima finalità di qualsiasi linguaggio, sia esso quello delle parole, della musica o della matematica, debba essere espressiva. Nelle parole e nel loro modo di articolarsi ricerco soprattutto quello che Wittgenstein definisce “autologia”: in qualche modo anche la mera forma del linguaggio deve già possedere ciò che alla fine esprime. Significante e significato debbono danzare, abbracciarsi, cercare di conferirsi vicendevolmente vita, anima, sobrietà: la presenza di giochi di parole nei miei racconti non è che un aspetto di un intento che in realtà mira al minimalismo, alla sintesi, alla pulizia.
Un racconto è addirittura firmato Snoopy! Che rapporto hai con i fumetti?
Forse rischio di deluderti ma ammetto che non sono un grande lettore di fumetti: nella mia infanzia c’erano giusto Topolino e Paperino, durante l’adolescenza ho incontrato Mafalda e più di recente Ratman di Leo Ortolani, che mi ha sedotto soprattutto grazie ai giochi di parole. La storia a cui ti riferisci è stata scritta per un concorso letterario dedicato a Snoopy ma è comunque coerente con lo spirito della raccolta: si tratta del secondo racconto in cui una metamorfosi viene narrata in prima persona.
Quali sono i libri che hai amato di più?
Tutti i libri del ciclo di Eymerich di Valerio Evangelisti, che per me sono una vera e propria ossessione: li leggo e li rileggo e continuo a desiderare di rileggerli nella mia postazione di lettura preferita, che è poi una vasca da bagno. Sono affezionato ai libri di Stefano Benni, in particolare a Comici Spaventati Guerrieri, che per la prima volta ho sfogliato in un fondo di letto di ospedale, attaccato ai tubi della lavanda gastrica; avevo vent’anni precisi e già allora mi capitò di pensare che in fondo Lucio Lucertola, il vecchio insegnante in pensione, c’est moi. Non posso esimermi dall’includere nella lista anche Le cosmicomiche, Pinocchio, Alice nel paese delle meraviglie, Il maestro e Margherita e I fiori blu; tra i libri di cui forse è meglio specificare l’autore: Garabombo l’invisibile di Manuel Scorza, Il signore delle mosche di William Golding, Amras di Thomas Bernhard, Il più grande uomo scimmia del Pleistocene di Roy Lewis, Acciaio di Silvia Avallone, La fine di Alice di A. M. Homes, l’opera omnia di Raymond Carver e soprattutto tutti i libri della trilogia della pianura di Kent Haruf.
Tu sei uno scienziato, quando scrivi ti resta una mentalità scientifica oppure l’abbandoni a favore della narrazione pura?
A mio avviso la scrittura deve perseguire rigore e precisione ma non penso che tale tensione sia il risultato di una “mentalità scientifica”. In ambito letterario credo fermamente nell’importanza dell’editing; nella mia vita ho scritto molto anche di scienza, segnatamente di fisica delle particelle, e sicuramente le tecniche di editing letterario apprese grazie alle scuole di scrittura si sono rivelate utilissime anche in ambito scientifico.
Sei italiano, ma hai vissuto e vivi in diversi luoghi del mondo, dov’è casa tua?
Permettimi un’aggiunta tardiva alla lista dei libri che amo: Piazza Italia di Antonio Tabucchi, perché parla delle mie radici, che affondano nelle paludi bonificate di Vecchiano (PI). Ma casa mia, da 28 anni a questa parte, è a Cessy, nei Pays de Gex, una piccola striscia di Francia compresa tra il Jura e il lago Lemano, ovvero il migliore dei mondi possibili, a pochi passi dal castello dove Voltaire ha scritto Candide. Era qui casa mia anche quando facevo la spola con Wuhan per tenere i miei corsi di Fisica delle particelle e Cosmologia alla Central China Normal University.
Stai scrivendo ancora, oppure hai smesso?
No, al momento non sto scrivendo ma non ho del tutto abbandonato il mondo della scrittura: negli ultimi anni mi sono improvvisato editor di scritti altrui, spero senza fare troppi danni; forse si tratta di mera deformazione professionale da docente. Ma ho voglia di ricominciare e qualche nuova idea di scrittura comincia già ad affiorare.