Laboratorio di scrittura creativa per morti viventi: Lezione 5

Nel dialogo, i personaggi combattono a un livello più alto rispetto alle azioni vere e proprie che portano avanti: lo fanno per conquistare il loro oggetto del desiderio.

Nelle lezioni precedenti:

 

Fight for your right to zombie

Domenica 30 novembre ho acceso la TV alle 13.30, come faccio sempre per seguire il TG1. Hanno aperto con un servizio da piazzale del Verano senza commento. In basso una banda dal titolo ULTIM’ORA riportava “Gli zombie si candidano alle elezioni: Oronzo 178941 punta alla premiership”. 178941. Non conoscevo il suo numero di assegnazione.

Le immagini mostravano piazzale del Verano gremita di zombie, curiosi e giornalisti. Sullo sfondo l’ingresso del cimitero e qualche lapide. Avevano improvvisato un palco fatto di bare. Decine di bare accatastate una sull’altra. Oronzo stava lì sopra con un megafono e parlava: “non è più possibile pensare alla nostra comunità come a un fastidio da ignorare o, peggio ancora, da importunare. Compagni, ci sputano! Compagni, ci insultano. Compagni, cercano di rubarci quel poco di ossa che ci è rimasto! E io dico, per troppo tempo siamo rimasti in silenzio! Per troppo tempo abbiamo lasciato che i nostri desideri venissero messi da parte. Per troppo tempo la nostra ferita ha sanguinato. Fratelli, amici, compagni, siete pronti a combattere?”

“Sì!” aveva risposto il pubblico

“E allora combatteremo! E voglio dire, a chi intende opporsi alla mia candidatura alla presidenza del consiglio, che noi zombie siamo vivi e abbiamo un cervello e delle idee. E chi ha un cervello e delle idee deve avere anche dei diritti. Noi siamo qui per creare la pace, una nuova pace, un nuovo paradigma che preveda un posto per gli zombie in società! Ma se qualcuno vuole farci la guerra, beh, siamo pronti anche a quella. Non abbiamo niente da perdere”

Alla fine del discorso è partita Fight for your rights dei Beastie Boys nella versione zombie di Kurt Cobain, quella che fa “You gotta fight for your right… to zombieeeee”.

Il resto del telegiornale era dedicato alle reazioni della politica, della cultura e degli altri Paesi rispetto a questa novità. Reazioni tutte negative, solita roba. Che ne pensano gli americani? E l’economia? I mercati? Come influirà questo sulle altre comunità zombie? Poi interviste ai costituzionalisti. C’erano diverse leggi che non consentivano agli zombie di fare tante cose ma non ce n’era una che vietasse a uno zombie di fondare un partito politico e candidarsi alle elezioni. Non potevano fermarli.

La chiamata della presidente dell’associazione era arrivata mentre prendevo il caffè, qualche minuto dopo la fine del telegiornale.

“Scusa, che cazzo sta succedendo?” ha chiesto. Era piuttosto alterata.

“In che senso?”

“Che cosa ti sei messo a raccontare a quella massa di morti viventi? Che hai combinato?”

“Guarda che io non c’entro niente”, ho risposto, “faccio le lezioni come le faccio con chiunque altro”.

“Oronzo sta facendo il nostro nome con i giornalisti. Ti ha citato come suo mentore, anzi, come loro mentore. Lo sai cosa ci può succedere? Sai che rischiamo di chiudere?”

“Non so che dire”, ho detto, “però questa tua posizione mi suona un filo antizombista. Sbaglio?”

“Ecco fatto. Prima avevo solo un dubbio, adesso ne sono sicura. Bella cazzata che hai fatto”.

“Ma guarda che io non c’entro niente…” ho provato a ribattere ma aveva già messo giù.

Quella sera l’aria era elettrica. Mi pareva di vedere zombie un po’ dappertutto. E più mi avvicinavo all’aula, più morti viventi mi sembrava di vedere. Quando ho svoltato l’angolo che portava alla nostra scuola di scrittura ho capito. Fuori dalla porta c’era un gruppo di zombie che discuteva. Quando mi hanno visto arrivare sono ammutoliti e mi hanno lasciato passare. Li sentivo sussurrare qualcosa ma non riuscivo a capire. Ho cominciato ad aprire la porta e in quel momento ho sentito un mucchietto d’ossa che mi toccava la spalla: era Oronzo.

“Stasera ho portato qualche amichetto in più, va bene?”

“Sì, nessun problema”, ho aperto la porta ma mi tremava un po’ la mano.

Cinque minuti dopo nella sala c’erano così tanti zombie che pensavo che si sarebbero sgretolati schiacciandosi a vicenda. Stavano tutti lì, fermi come solo i morti viventi sanno stare fermi e mi guardavano. L’argomento di quella lezione era il dialogo.

“Che cos’è il dialogo secondo voi?” ho chiesto.

Qualcuno ha risposto “Due o più persone che parlano?”.

“Vero”, ho detto. “Però nelle storie il dialogo è azione pura. Nel dialogo i personaggi combattono a un livello più alto rispetto alle azioni vere e proprie che portano avanti per conquistare il loro oggetto del desiderio. Cominciare a parlare, per un personaggio, equivale a sfoderare la spada, tirare fuori la pistola e armare il cane, togliere la sicura a una bomba a mano”.

Lo sapevo? Sì che lo sapevo, solo che in quel momento non capivo. Forse non avrei potuto capire. Reputavo il dialogo uno strumento fondamentale per i nostri allievi, per gli scrittori in erba. Ci tenevo così tanto che per due ore ho smesso di pensare a chi stessi effettivamente spiegando tutti i meccanismi che regolano il discorso diretto o indiretto nei romanzi.

Quando ho finito, Oronzo ha aspettato che la sala si svuotasse. Quando l’ultimo zombie è uscito si è avvicinato, “Come si vince in un dialogo?”, mi ha chiesto. Non credevo di avere una risposta, quindi gli ho dato la prima che mi è venuta in mente: “In un dialogo vince chi riesce ad avere tutti e due i punti di vista, il suo e quello del suo avversario”.

Oronzo ha annuito, ha allungato un dito come ET e mi ha toccato la fronte. Ho sentito un brivido correre lungo la spina dorsale.

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Massimiliano Ciarrocca

Ex allievo di Paolo Restuccia. Ha pubblicato il libro Pronto France'? (Fazi, 2014), ha collaborato con Liberoveleno e ha scritto lo spettacolo teatrale Buon Natale, la trilogia del livore. Ha recentemente realizzato il podcast Apocalips Bau in collaborazione con Filosofia Coatta e Genius. Insegna in diversi laboratori creativi.

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