Laboratorio di scrittura creativa per morti viventi: Lezione 4

È una ferita che ha bisogno di essere curata, perché se si infetta può uccidere e se sanguina troppo anche

Nelle lezioni precedenti:

 

Il fatal flaw

Il 23 novembre la classe era di nuovo dimezzata.

“Dove sono gli altri?” ho chiesto a Oronzo che si sera seduto al solito posto.

“C’era una festa alla cappella di Rino Gaetano, non sono potuti venire”.

“Le feste non sono vietate per gli zombie?”

“Sono vietate, sì ma la nostra pazienza ha un limite e chi sta in alto lo deve capire”, ha detto Oronzo e gli altri hanno applaudito. Cioè, hanno battuto le ossa delle mani, generando un rumore di rami che si spezzano. “Vedi”, ha aggiunto Oronzo, “abbiamo la sensazione che questo corso ci stia facendo bene”.

“Sono contento”, ho detto, “la nostra scuola di scrittura vuole regalare soprattutto…” ma Oronzo mi ha interrotto.

“Cosa ci insegni oggi? Siamo impazienti”.

“Aspetta Oronzo, non c’è nessuno che vuole leggere? Avete scritto?”

“Leggo io”, ha detto Oronzo.

“Hai scritto una scena sul desiderio?”

“Sì. Posso?”

“Prego”.

Si è alzato in piedi e mi ha dato le spalle.

“C’è una regola non scritta per i morti viventi ed è quello che rende i morti viventi morti viventi e me ne sto rendendo conto soltanto adesso. È una regola, compagni, che stabilisce il confine tra chi vive e chi non vive più. E questa regola dice: vietato desiderare”.

Applauso legnoso.

“Per tanti, troppi anni, compagni di morte, abbiamo accettato tutto questo. Penso ai colleghi del video Thriller costretti a comportarsi da stupidi zombie. Penso a tutti i lavoratori dello spettacolo costretti a fare video musicali di serie b e sottopagati. Eppure, io, Oronzo, capo del sindacato degli zombie italiani, per la prima volta voglio. Non solo voglio. Io voglio volere e so di non essere solo”.

Applauso.

“I diritti degli zombie sono stati per troppi anni calpestati, ignorati, derisi. Quindi vi annuncio che ho deciso di scendere in campo e dedicare il resto della mia morte alla salvezza e ai diritti degli zombie. Non solo del Verano, non solo d’Italia, ma del mondo intero”.

Applauso e qualche ululato.

Finito di leggere è tornato al posto. Quelli che stavano dietro di lui elargivano delle pacche sulle spalle. Io ho aspettato che finissero, poi ho chiesto “Oronzo, quello che ci hai appena letto, cos’è?”

“Quello è il mio… Anzi, il nostro desiderio”.

“Sì, questo l’ho capito. Quello che voglio sapere è: dov’è la storia? In queste righe ci leggo soprattutto un’intenzione ma non c’è un briciolo di azione o di messa in scena. Si tratta solo di un discorso che non si sviluppa, in cui nessuno fa niente. È solo una voce che…”

“Questo è solo il tuo punto di vista di uomo vivo e razzista”, ha detto Oronzo e ho come avuto l’impressione che nessuna risposta sarebbe andata bene; quindi, ho detto solo “Comunque bravo, Oronzo, hai una penna di qualità”. Se ci ripenso mi vengono i brividi.

Dalla registrazione di quella lezione ho estratto un passaggio che credo sia fondamentale per capire e spiegare. A un certo punto ho detto: “Vedete, i percorsi di scrittura creativa hanno un obiettivo: quello di risvegliare la creatività degli artisti che le persone hanno seppellito. È una ricerca dell’identità e dei desideri. I nostri desideri, i vostri desideri in quanto artisti. Come per i personaggi, però, questa ricerca non è gratuita e passa per un nemico, anzi, per le conseguenze di un nemico. Un nemico che tutti hanno incontrato una volta nella vita e che ha generato il vostro fatal flaw. Una ferita che ognuno di voi si porta dietro e che sanguina e che non si può rimarginare. Questa ferita ce l’avete voi, come ce l’ha il vostro protagonista. È una ferita che ha bisogno di essere curata, perché se si infetta può uccidere e se sanguina troppo anche. E va accettata. Dovete imparare a conoscerla e a gestirla”.

Me lo ricordo quel momento. Dalla registrazione non si capisce ma mi ricordo benissimo che dopo quella spiegazione si sono messi tutti a piangere. È stato un momento intenso, duro. Gli zombie imitano il pianto, non piangono davvero ma vi posso garantire che l’effetto è lo stesso.

Finito di piangere sono venuti tutti ad abbracciarmi. Abbracciare uno zombie è un’esperienza toccante che fa schifo e tenerezza allo stesso tempo. Gli zombie sono leggeri, fragili, impossibili da abbracciare.

Mi hanno invitato a bere una birra con loro e anche quella volta ho dovuto dire di no. Il mio turno di lavoro mi aspettava e quella notte, mentre guidavo l’idropulitrice, non facevo altro che pensare al pianto collettivo cui avevo assistito. Un’immagine che ancora oggi non riesco a togliermi dalla testa. Ho provato a parlarne al mio collega, Paolo, che in genere se ne stava vicino a me a giocare a Candy Crush.

“Lo sai che stasera al corso ho visto sedici zombie piangere?”

“Non ho capito”, ha detto lui staccando gli occhi dallo smartphone, “che zombie?”

“Nel mio corso ci sono degli zombie”

“Quanti sono?” mi ha chiesto, sempre più interessato.

“Abbiamo un totale di trenta iscritti”, ho detto e mi sentivo orgoglioso.

“Perché insegni a quei maiali? Lo sai che a mia zia hanno distrutto il giardino? Si sono mangiati i fiori, pensa un po’ che roba. Perché cazzo di motivo vi mettete ad aiutare quella gente?”

“Non li stiamo aiutando… Cioè, hanno pagato un corso”.

“E ti sei chiesto da dove vengono i loro soldi? Com’è che siete così scemi e vi fate fregare da questa gente? Anzi, manco sono gente. Sono esseri… sono merde”.

Non me lo ero chiesto, in effetti, da dove venissero i loro soldi. Una parte di me pensava venissero dalle bare, dall’oro con cui magari li avevano seppelliti. Oppure da qualche fondo della Comunità Europea per l’integrazione. In quel momento però non me ne fregava niente.

“Perché li odi così tanto?” ho chiesto al mio collega e ho fermato le spazzole per parlare meglio.

“Sono morti viventi, ti rendi conto? Sono la cosa più innaturale che ci sia sulla terra. Ti pare che la Bibbia o il Corano parli di loro? Mi pare di no. C’è un momento preciso in cui tutti devono venire fuori dalle tombe e quel momento non è oggi. Loro minano le nostre basi, la nostra cristianità. E poi puzzano da farti vomitare. Io non prendo più la metro per colpa loro e per colpa loro spendo migliaia di euro di benzina ogni anno”.

Ho riacceso le spazzole e mi sono concentrato sul ciglio del marciapiede. Paolo è tornato a giocare a Candy Crush. Quando gli ho chiesto di andare a raccogliere delle foglie sotto una macchina mi ha guardato come per dire “Io? E perché?”. Perché quello era il suo compito, ecco perché. Solo che non gliel’ho detto. Così sono sceso e io e mi sono messo a spazzolare.

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Massimiliano Ciarrocca

Ex allievo di Paolo Restuccia. Ha pubblicato il libro Pronto France'? (Fazi, 2014), ha collaborato con Liberoveleno e ha scritto lo spettacolo teatrale Buon Natale, la trilogia del livore. Ha recentemente realizzato il podcast Apocalips Bau in collaborazione con Filosofia Coatta e Genius. Insegna in diversi laboratori creativi.

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