Sei rinchiuso in una capsula che ti riporta indietro nel tempo, quando avevi 13 anni e ogni scoperta adulta era nuova: l’emozione traditrice del primo bacio, la prima bevuta, la trasgressione di fare fumetti contro la Chiesa. Così Chris Fuhrman racconta la sua prima adolescenza nel 1974 in Georgia, a Savannah, immerso tra edifici stile coloniale pre-guerra di secessione, e nuove, confortevoli casette unifamiliari a schiera, con giardinetto annesso. Il protagonista, Francis, è di famiglia cattolica, frequenta una scuola cattolica ma lui e i suoi 3 amici sono in aperto conflitto con l’autorità e rischiano richiami o peggio, quando vengono sorpresi a colorare il fumetto che hanno ideato, “Sodoma contro Gomorra 1974”.
Il 1974 era un momento in cui nel profondo sud si discuteva dei diritti civili, la crepa tra bianchi e afroamericani una ferita non ancora rimarginata, le bandiere confederate sempre esposte con una sorta di orgoglio, e la puntina del braccio grattava sugli LP, rischiando di rovinarli se volevi risentire la stessa canzone.
Francis ama Margie, bellissima e fragile, capelli color luce estiva e cicatrici sui polsi, un segreto che lei reputa colmo di vergogna e che verrà rivelato a Francis, la notte del loro primo, maldestro, bacio, mentre le foglie assorbono la pioggia e l’umidità bagna i loro visi. Tim è il leader del gruppo, ateo convinto, e spericolato, immerso in una serie di imprese eroiche o solo fallibili, come succede ai progetti dei bambini quando all’improvviso diventano adulti.
Un romanzo di formazione che racchiude tutte le tematiche brillanti e dolorose del passaggio stupefacente verso il momento in cui le scelte che fai, che hai fatto, sono capaci di orientare il futuro e farti guardare indietro con nostalgia, quando di quello che eri rimane solo una serie di foto in cui sorridi sghembo verso l’obiettivo, la mano di qualcuno appoggiata sul tuo braccio, gli occhi socchiusi prima dello scatto, le labbra aperte. E in quell’attimo l’innocenza si perde, e si trasforma in un guscio duro che talvolta ci insegnano a chiamare consapevolezza. O anche nostalgia, o rimpianto.
In terza media, per noi Gesù Cristo era stato chiacchiere e farina di ossa per la maggior parte dei suoi 1974 anni. Ma avevamo solo tredici anni. Eravamo temerari, banditi. Io avevo un nome da femmina, Francis, e un’ernia.
Mi voltai per un’ultima occhiata a Margie Flynn. Mi stava guardando. Abbassammo gli occhi entrambi. Sorrise e alzò la mano, mi salutò agitando le dita, e le sue dita devono avermi sfiorato il cuore.
Il corpo di Cristo nella mia bocca si sciolse in un’appiccicosa colata di amido, e lo ingoiai, felice, triste, vagamente innamorato.