“I terranauti” di T.C. Boyle (La nave di Teseo)

Basta ricreare un mondo naturale per essere felici o quantomeno salvi?

L’ansia per le limitate risorse delle Terra, e il delirante senso di poter ricreare lo stesso habitat terrestre, eventualmente su altri pianeti, spinge una grossa azienda americana a reclutare scienziati e biologi che daranno vita, nel 1994, a un grandioso esperimento: 4 uomini e 4 donne dovranno stare chiusi per 2 anni dentro una grande arca di vetro, soprannominata E2, in cui sono stati riprodotti i microclimi terrestri.

L’idea, ambiziosa ma possibile, almeno sulla carta, è quella che i pionieri devono poter sopravvivere con i prodotti naturali all’interno della capsula, che non può essere aperta, pena il fallimento dell’esperimento prima della data fissata. L’idea è che comunque debba crearsi una suddivisone dei compiti e un’organizzazione precisa per non avere problemi, tipo la scarsità di cibo.

Le stanze dei terranauti sono degne del miglior albergo a 5 stelle, solo, possono essere infestate da insetti e serpenti, inoltre non ci sono né assorbenti né carta igienica, per evitare qualsiasi tipo di inquinamento e di alterazione (esistono doccette nei bagni e per le donne sono previste coppette mestruali). È possibile, oltre agli oggetti personali, portarsi dei libri ma devono comunque rientrare nello spazio consentito di due valigie. I detergenti per lavare e per l’igiene sono rigorosamente senza coloranti e inodori. Nell’arca vengono rinchiusi anche alcuni primati, i galagoni, socievoli e non particolarmente bisognosi di grandi risorse di cibo e acqua.

All’inizio tutto funziona alla perfezione, ma poi i rapporti tra i terranauti vengono appannati da gelosie e dalla bramosia sessuale, per alcuni incontrollabile. Vari incidenti legati a cali di tensione elettrica e guasti portano all’innaturale aumento della temperatura e a rischi di soffocamento che, inevitabilmente, spingono i rinchiusi a votare per decidere di far aprire la capsula. Per fortuna i guasti si risolvono ma la crepa che si apre tra coloro che avrebbero rischiato la vita e gli altri che invece sarebbero stati disposti a far finire l’esperimento rimane una fonte continua di discussioni. Per qualcuno, infatti, E2 diventa una ragione di vita, l’alba davvero di un possibile nuovo inizio per l’umanità, del quale loro sono dei novelli Prometeo.

Cosa davvero non funziona nell’esperimento, oltre la scarsità di cibo prevedibile e le invidie e i sotterfugi, tipici degli ambienti asfittici?

Quello che fa davvero saltare gli equilibri è l’imprevedibilità umana, il modo in cui alcuni reagiscono alla chiusura, alla dipendenza dal luogo che diventa casa, o almeno, il posto in cui desiderano vivere, e che invece, per altri, è solo una ghiotta occasione per trovare lavori ben retribuiti e notorietà. Anche i corpi dei terranauti cambiano, uno in particolare, per una prevedibile conseguenza che dà inizio a nuove vite fisiche ed emotive.

L’esperimento riesce in modi alternativi e diversi da quelli preventivati dalla direzione, raccontato da tre voci narranti, dove la più interessante è quella di Linda, esclusa dall’esperimento e profondamente ferita per la preferenza accordata alla migliore amica Dawn, bionda e snella, in linea con l’immagine più stereotipata di benessere americano da comunicare al mondo dei media.

Ma davvero basta ricreare un mondo naturale per essere felici o quantomeno salvi? Ovviamente le risposte sono tutte possibili e giuste per il lettore, quello che è certo è che anche la creazione di E2 è un’altra forma di imposizione umana alla natura, una radicale e sottile violenza verso la Terra.

 

“Ci scoraggiavano ad avere animali da compagnia, dei mariti o persino dei fidanzati, se è per questo. Lo stesso valeva per i maschi, nessuno di loro era sposato per quanto ne sapessi io. Credo che Mission Control avrebbe preferito saperci orfani o che non avessimo fratelli e sorelle ma tutti avevamo famiglia tranne Ramsay, figlio unico a cui erano stati uccisi i genitori in uno scontro frontale quando era in quarta elementare. Giunti ormai alla fine, sembrava che non avessimo fatto altro per mesi, e anche se eravamo una squadra, anche se agivamo compatti come avevamo cercato di fare per tutti e due gli anni di addestramento, la verità era una sola: dei sedici candidati, solo otto avrebbero superato la selezione finale. Ecco dove stava l’ironia: mentre trasudavamo spirito di gruppo, eravamo in competizione tra noi per trasudare spirito di gruppo.”

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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