Fin da bambino Marco non trovò mai risposte alle domande ridondanti della gente, degli amici, della famiglia, degli insegnanti, dei passanti; visse la sua vita senza risposta alcuna.
Riuscì a fidanzarsi con un cenno di assenso all’età di 37 anni con una ragazza che a lungo rispettò le sue non risposte, accumulando però in lei domande su domande fino a occludere ogni angolo del suo cuore.
Una sera di autunno le tante domande divennero incontenibili.
La ragazza non riuscì a trattenerle, straboccarono come schiuma di birra da un bicchiere.
Vomitò addosso al ragazzo una domanda dopo l’altra, domande brevi domande lunghe domande confuse, vomitò per più di mezz’ora parole con punti di domanda, virgole, avverbi, punti esclamativi, vomitò cosi tanto che la stanza tutta venne sommersa.
Il ragazzo, in preda al panico, si fece piccolo e, schiacciato dal flusso di domande, divenne minuto a sufficienza da credere di non essere più visto.
La giovane fece uno sforzo per interrompere i conati avendolo perso di vista. Respirò a fondo e guizzò gli occhi agli angoli della camera; vicino a un batuffolo di polvere sotto una presa della corrente vide il suo fidanzato ormai delle dimensioni di un mandarino.
Non trattenne oltre il nuovo conato che le premeva in gola. E ancora vomitò bile di dittonghi, punti, sillabe, congiunzioni, allitterazioni e soprattutto punti interrogativi.
Il ragazzo strizzò gli occhi con forza ripetendosi che ognuno è ciò che è. Quando, d’un tratto, iniziò a mutare forma.
Crebbe a dismisura. Le braccia si ritirarono, le gambe si serrarono allungandosi, la testa divenne conica crescendo fin quasi al soffitto, poi il collo ormai stirato per più di mezzo metro si incurvò e a penzoloni si accoccolò sul suo lato sinistro.
Si accorse nel trambusto di aver perso il cuore dalla gola per la paura, cuore che scivolando andò a posizionarsi proprio a pochi centimetri di distanza dai suoi piedi ormai uniti in un tutt’uno e sospesi da terra, completando così la forma longilinea e affusolata del perfetto punto interrogativo.