Un’altra notte insonne. Un altro giro dentro la mia testa. Mi succede spesso ultimamente, da quando ho ricominciato a scrivere.
Un continuo clack plasticoso risuona per la stanza e mi fa alzare dal letto. Stanotte c’è il protagonista del romanzo che sto scrivendo, Aleister, è appoggiato alla porta d’ingresso a frugare tra la mia collezione di CD sulla libreria.
Da sopra il comodino parte una luce bianca che illumina la scena, è il mio telefono, la prima vittima della spazzatura che scrivo. Si è acceso di sua spontanea volontà, prendendo vita propria, “Buone quattro del mattino gente! Che si dice?”.
“Ma come che si dice?”, rispondo, “perché non sei in carica?”.
“Perché fa caldo,” risponde lui, “comunque c’è qualcuno che cerca di imbrasare dalla tua finestra, non so se te ne sei accorto.”
Tra le ante della finestra spunta una mano che toglie il gancetto che teneva i due sportelli, li spalanca e una donna entra nella mia stanza. È la Paolella, mia professoressa di italiano delle medie e Taskmaster della mia mente. Perché proprio lei? Boh, forse perché ogni volta che mi ritorna una correzione dalla Scuola di scrittura Genius, mi ricorda di quando lei riportava i compiti in classe… o forse perché inconsciamente voglio mandarla di nuovo a quel paese.
“Uh bello questo,” Aleister prende un CD dalla mia libreria, “ti dispiace se lo prendo in prestito?”
“Rimetti quel coso dove stava,” rispondo, “è un vecchio regalo.”
“Ciarimboli! È così che tratti i tuoi ospiti?” risponde la Paolella.
“Ehm, no prof io…”
“Andiamo Frà,” dice il telefono, “che ti costa, so quello che ti ascolti e quello non lo ascolti mai.”
“Oddio state zitti! Già non riesco a dormire di mio, non mi ci servite anche voi! Si può sapere che volete?”
“Siamo qui per questa”, la prof fruga nella sua tasca e tira fuori un foglio di carta, “leggi tu stesso.”
Mi alzo dal letto, le strappo il foglio dalla mano e mi metto seduto sulla scrivania a leggerlo, “oh andiamo siete seri?”
“Certo che lo siamo, l’hai vista quella robaccia?” risponde Aleister, “e pensare che hai avuto l’audacia di scriverlo attraverso la mia prospettiva!”
“Andiamo non è così malaccio, ha solo bisogno di qualche ritocco”, rispondo grattandomi la nuca.
“Ti stai arrampicando sugli specchi Frà,” risponde il telefono, “mi ricordo anche il tuo input titubante sulla tastiera, neanche te eri sicuro di quello che stavi scrivendo.”
“Che cos’ha di così brutto?”
“Ehm, tipo quasi tutto,” risponde Aleister, “primo: i dialoghi fanno schifo, tutti parlano come se stessero leggendo un copione. Inoltre mi fai sembrare una fighetta, sempre intimorito da tutti.”
“Ma fratello mio, è quello il tuo ruolo,” rispondo, “per la prima parte della storia tu devi essere un rammollito!”
“Sì, ma che palle!” ribatte lui, “non potevi inventarti un protagonista più interessante del solito bamboccio frignone?”
“Poi Frà, importante, le didascalie dei dialoghi,” continua il telefono, “hai usato troppi avverbi, non lo hanno detto anche a scuola che bisogna evitare gli avverbi?”
“Quello perché l’ho scritto tempo fa e ancora non ho avuto il tempo di rivederlo, dai!”
“E terzo,” dice la prof, “gli errori grammaticali. So che quando eri in classe stavi sempre con la testa per aria, ma pensavo che almeno i tempi verbali li avessi imparati!”
“Quello è… ehm… un errore di battitura?” dico facendo spallucce.
“Sì, ti piacerebbe..” risponde il telefono.
“Va bene, va bene, ammetto che quella scena fa schifo,” dico mettendo le mani in avanti, “l’ho scritta svogliato e di fretta, appena possibile gli ridarò una controllata, ok?”.
“Questo continui a dirtelo da circa quattro mesi,” risponde Aleister, “hai praticamente rivisto ogni pagina tranne che quella scena, si può sapere il perché?”
“Boh, non lo so, magari non so come correggerla, tutto qui.”
“Cazzate Frà,” dice il telefono, “adesso scusa se rompo la quarta parete, ma se non te ne sei accorto, tutta questa discussione sta accadendo tra i pochi neuroni buoni che ti ritrovi, perciò lo sai bene perché non vuoi riguardarla quella scena.”
“Il tuo telefono ha ragione Ciarimboli,” continua la prof, “anche quando eri a scuola facevi così, eri così immaturo da non voler mai accettare i tuoi errori, vedo che non sei cambiato molto in questi ultimi tredici anni.”
Mi alzo dalla scrivania, accartoccio la pagina del mio romanzo e la butto nel cestino, “grazie per avermi detto quello che già sapevo,” dico buttandomi sul letto, “adesso però lasciatemi in pace.”
“Andiamo non fare così..” Aleister si siede sul fianco del letto, “Se siamo qui a dirti queste cose è perché ci teniamo a te, tutti qui vogliono che diventi un bravo scrittore.”
“Io lo dicevo sempre ai tuoi genitori, se solo ti fossi impegnato un po’ di più, saresti potuto diventare uno dei migliori della mia classe.”
“Esatto Frà, perché domani non proviamo a rivedere quella parte, eh?”.
Mi giro s’un fianco e tiro su le coperte, “ci penserò su, buonanotte.”