Capitolo 2
Il giorno della discussione arrivò un freddo venerdì d’inverno, alla fine di Febbraio. Le toghe nere si riunirono sullo scranno dell’aula magna della Sapienza, silenziose. Le sedute alle spalle del laureando erano vuote, era solo, come richiesto.
Il professor Reali, muoveva le mani con nervosismo. Osservava il grande macchinario assemblato nel centro dell’aula magna dopo il tramonto del giorno precedente, ora coperto da uno spesso telo grigio. Era stato smembrato in varie parti e trasportato sul vecchio furgoncino Volkswagen del professore, suddiviso in pezzi pesanti caricati dal laboratorio su un carrello della spesa fino all’ampio portabagagli del mezzo. Il laboratorio, caro al maestro e all’allievo, era uno scantinato dove da mesi testavano i meccanismi per sfidare il tempo.
– In barba alle teorie moderne e ai creduloni di Dio. – Dicevano eccitati come scolarette.
Avevano impiegato quattro ore, durante la notte, per ricomporre lo strano macchinario.
Dopo un breve pisolino sul furgone, il giovane Saleri ritornò in aula pochi minuti prima delle otto. Era pieno di carte arrotolate sotto il braccio e la tesi in mano, scivolava veloce con un’andatura dritta e la schiena ricurva. Il professor Reali l’abbracciò appena lo vide.
L’introduzione del lavoro non durò più di pochi minuti, entrambi desideravano passare alla dimostrazione pratica. Saleri, con un gesto deciso, sfilò il telo che copriva il macchinario.
Alla vista dell’oggetto, i professori bisbigliarono tra loro.
Il metallo della piramide rettangolare luccicava, rifletteva in maniera sformata i profili del professore e del giovane in piedi ai lati dell’oggetto.
Il macchinario non superava i due metri. La punta ne faceva da apice come una stretta piramide, la larghezza raggiungeva poco meno di un metro e mezzo mentre il contorno degli spigoli in ottone appariva affilato come una lama. A contornare l’abitacolo, spessi vetri sembravano resistenti e ben saldi. Il parlottio dei docenti sullo scranno non accennava a scemare.
Il professor Reali tirò verso l’alto la lastra di vetro che funzionava da portellone e si mise alla destra del giovane Saleri, già seduto all’interno del triangolo. Entrambi, sistemati sulle sedute e con gli occhi luminosi di eccitazione, iniziarono ad armeggiare con la plancia piena di piccole leve e quarzi, digitando codici su una tastiera algebrica e tastando le decine di spie collegate a fili di rame ben visibili.
In pochi istanti, le carte e i libri sullo scranno della commissione si alzarono in un vortice d’aria.
Dal motore incastonato ai piedi della piramide, fuoriuscirono due potenti sbuffi che impregnarono la grande sala di un odore salmastro con note di cherosene.
Questi fatti ineluttabili riuscirono ad attirare l’attenzione della commissione che, tutto a un tratto, ammutolì.
Quando poi, in un lampo, la piramide generò un campo elettromagnetico, il rumore di ferraglia crebbe a tal punto che tutti i professori portarono le mani alle orecchie per attutire il frastuono.
Il professor Reali e il laureando Saleri si scambiarono uno sguardo d’intesa e tirarono insieme, con forza, la grossa leva di metallo incastonata tra i due sedili dei passeggeri.
Fu un istante. Una frazione di secondo in cui la luce generata dalle onde elettromagnetiche divenne accecante e il cronografo sulla plancia impazzì. I muri vibrarono, mentre alcuni dei vetri delle antiche finestre, affrescati con cura, andarono in frantumi a seguito di un ultimo scoppio poderoso.