Un ragazzo si aggira solitario in un mondo ricoperto di immondizia dall’odore nauseabondo, vive tra la sua tenda logora e un’improvvisata stazione radio in cerca di segnali da altre persone. I cumuli di sacchi sembrano creare percorsi e muoversi senza apparente ragione, aggirandosi tra la sporcizia troverà il senso di quel mondo ostile e vuoto.
Capitolo 6
Freddo, molle, il piede subito si adatta alla temperatura lanciandomi brividi in tutto il corpo, la fanghiglia sembra bassa, il terreno sottostante sbatte sotto i miei piedi passo dopo passo. Aumenta la profondità sı̀, ma di poco, fino alle ginocchia e non di più. La viscosità del liquido è densa, mi rallenta, cresce dentro di me uno sgomento inaspettato, grande come questo mare. Sono spariti gli odori. Non sento più nulla, vedo le sfumature nero violacee ma non sento più alcun odore. I miei piedi e la metà delle gambe sommerse sfiorano oggetti viscidi, duri, appena appuntiti, non posso vederli. Sento i peli appiccicarsi alle gambe, il colore del liquido sfuma verso il nero, è un liquame putrescente inodore. Dietro di me i sacchi dell’immondizia sono fermi. A guardar bene invece, davanti a me, un orizzonte opaco si staglia sul cielo. Osservo un movimento in lontananza. Non è terra ferma, sembrano onde. Avanzo veloce, il liquame denso mi affatica molto, ho la pelle frastagliata da minuscoli brividi, chissà dove sono finito, sento il corpo pesante ma non voglio fermarmi. Dopo un lungo camminare, ormai a poca distanza dal movimento che percepivo da lontano, mi rendo conto siano davvero onde. Onde scure e lente alte non più di un metro. Si muovono senza generare correnti se non il loro incessante movimento circolare. Sono vicino quando una potente forza di gravità mi attira verso quelle ondulate e frastagliate dune di liquame in movimento senza che possa opporre resistenza. Intravedo al centro del movimento una voragine nero petrolio, densa e abissale. Non riesco a resistere a quell’anomala gravità. Sprofondo sempre più giù attirato verso il centro, sale il mare denso fino alla pancia al petto al collo e mi ingloba. Ingurgito una grossa quantità di liquido priva di sapore. Sono sul punto di sparire del tutto quando intravedo un raggio di sole tra le nuvole. Tendo una mano, sprofondo lento nel mare di liquame e mi vedo bambino, adolescente poi uomo, mi vedo con una giovane donna dagli occhi che sembrano stelle e mi vedo magro e spaurito in un ospedale, vedo i miei genitori dannarsi. Sono sommerso, non capisco, la mano tesa e inerme si arrende, apro un istante gli occhi. Il mio albero. Vedo l’albero fuori dalla finestra della camera d’ospedale che non si muove, sono debole, il dottore scuote la testa, mi arrendo, chiudo gli occhi sulla tessera al collo del dottore, le palpebre sono troppo pesanti, non leggo il nome del dottore sopra la scritta “Reparto oncologico”, non ce la faccio proprio è che ha vinto la stanchezza. Scivolo via, il raggio di sole in cielo sparisce e anche la mano fuori dalla melma come in un ultimo saluto, si lascia fagocitare un istante prima che la coscienza mi abbandoni del tutto.