Un ragazzo si aggira solitario in un mondo ricoperto di immondizia dall’odore nauseabondo, vive tra la sua tenda logora e un’improvvisata stazione radio in cerca di segnali da altre persone. I cumuli di sacchi sembrano creare percorsi e muoversi senza apparente ragione, aggirandosi tra la sporcizia troverà il senso di quel mondo ostile e vuoto.
Capitolo 2
Sono parallelo al nasone e con l’uccello faccio quello che faceva quel rubinetto un tempo. Rido di nuovo non ho avuto alcuna risposta. Mentre lo scrosciare intermittente dorato e scuro graffia un grosso sacco nero. In realtà me lo immagino attivo il nasone carico di acqua fresca. Spingo in avanti l’anca per non farmela sulle scarpe. Sputo sulla poltiglia di rifiuti, tra le erbacce. Rare ma vere le erbacce. La gola continua a scottare. I sacchi colmi di plastica sono una pausa dagli odori. L’odore di cibo avariato, liquefatto mi riempie e rende la maschera artigianale ancora più inutile di quanto non lo sia, ma la plastica no. Pressata o accatastata sta lı̀ inodore ad attendermi. Gioco a riconoscerla quando l’aria si pulisce e il naso si libera. Chiudo gli occhi e respiro e mi sembra di inalare l’aria che respiravo da ragazzino. Intravedo mia mamma e mio papà muoversi intorno a me. Camminano avanti e indietro parlano tra di loro. Discutono animatamente, sono preoccupati ma non stanno litigando; sembra piuttosto un pensiero li angosci. Non appena espiro e torno a osservare i sacchi, svaniscono sia mia madre che mio padre. L’aria qui è migliore. Quando sono fortunato e una bottiglietta è chiusa bene, ma bene davvero, ci infilo il naso come posso e inspiro aria aromatizzata un po’ stantia ma pulita e quando la stappi inali ciò che è stato. Giorni fa mi è capitato di respirare aranciata. Un lieve aroma di Fanta persisteva da anni dentro questa bottiglia di plastica arancione da due litri con il collo che usciva dal sacco che sembrava sbucare e dirmi: – Respirami tutta! Me la sono respirata tutta sı̀, inspiravo, tappavo, espiravo e respiravo di nuovo. Sono quasi arrivato. Voglio controllare le bacinelle. Ieri ha piovuto e devono aver fatto una bella scorta d’acqua, ma prima il controllo della torre radio. Ci sarà acqua? Qualcuno risponderà al mio messaggio radio? Con i piedi che sfiorano il terreno per via delle scarpe logore e la maglia per coprirmi dai raggi del sole, cammino per quella via dove di ombra non se ne vede. I rottami della centrale radio che ho costruito sono al solito posto. Sudo, sento l’acrilico della maglia grattare la pelle perlata; mi guardo intorno, nessuno. L’asfalto è sempre invisibile per via dell’immondizia che aumenta di giorno in giorno, eppure non ho notato nessuno scaricare nulla; a pensarci bene l’asfalto coperto aiuta a non far assorbire troppo calore. Calpesto erbacce verde giallognolo un po’ ovunque in queste quattro vie che ormai conosco a memoria e da cui preferisco non allontanarmi. – Che mi allontano a fare? Dico ad alta voce. Lo dico guardando il cielo. Nessuno può sentirmi, nessuno può rispondermi. Non c’è più nessuno e io grido a chi mi pare. Assorto nei pensieri, inciampo spesso nei pressi della stazione radio per via dei tanti oggetti sparsi a terra. Questa volta il piede si torce tra un fornello da campo e del materiale di scarto scivoloso, dell’olio. Il dolore mi unge la caviglia mentre rotolo ai piedi della duna dove all’apice svetta la piccola antenna rudimentale dritta a indicare il cielo. Mi alzo in piedi, le mani affondano nell’immondizia, a fatica e salgo su. – Eccomi a Punta Cielo! – Penso e poi grido: – La trasmissione che trasmette solitudine tutti i giorni tutto il mese tutto l’anno! La radio più solitaria del pianeta fondata, diretta, scritta e raccontata da… me! Signori e signori, che tristezza. Sempre in cerca di una risposta da questo trabiccolo, da questa discarica che è la vita; segnali di vita fatevi avanti per piangere la fine del mondo con me!