A un ex professore di chimica in pensione viene commissionata una consulenza su una sconosciuta piantagione di caffè nel cuore dell’Africa.
Sesta Puntata
Il dito indica un’irregolarità tra le piante. Il terreno della piantagione risulta ben livellato, ma ora che la pioggia ha movimentato la terra, in un preciso lembo le piante dai fiori bianchi sono a distanza, come se lasciassero spazio nel terreno a un’entrata, una botola.
La pancia, la vedesse il gastroenterologo, la vedesse ora. Potrei mangiare sassi e rettili e andrei di corpo come un re, pensa.
I due si avvicinano al perimetro e iniziano a scavare senza parlare, Castelli osserva la fatica nel respiro di Mac Hamay.
Le mani si tagliuzzano, tra polpastrelli e unghie si accumula terra. Ma a un certo punto i due si fermano.
Toccano una lastra spessa, rigida.
– Ci siamo, è una botola! – Esclama Castelli.
In un’intera vita dedicata al caffè, mai avrei pensato di trovarmi a cercare una cripta sotterranea preso da un furore adolescenziale.
Con forza scoperchiano la botola ingiallita dal tempo e dal clima.
Un odore nauseante di zolfo, lo stesso già percepito da Castelli nei giorni precedenti, fuoriesce dal buco. L’odore ha un retrogusto dolciastro, una pungenza di caffè crudo.
Piccole scale di legno danno ragione al professore.
– La cripta!
I due tossiscono colpi di tosse secca per grattarsi la gola. Il tanfo è denso.
– Aspettiamo qualche minuto che esca un po’ di questo odore. Rientro in casa a prendere due torce.
Mac Hamay con passo svelto va e torna con due legni belli robusti, Castelli sente l’odore di cherosene di cui sono impregnati gli stracci all’estremità delle torce. Le accendono vedendole divampare in una fiamma morbida e luminosa.
– Entriamo. – Esorta Mac Hamay.
Castelli avanza. Pensa e avanza e ha paura. Ma pensando la paura la fermi, incatenata, non si muove. I pensieri sono un cuscino in cui soffocare il grido della paura. Cosa troveremo? È pericoloso? ci saranno serpenti o scorpioni? È la scoperta del secolo? sa che non sarà così.
Scendono le scale, raggiungono una stanza rettangolare; le luci delle torce creano semicerchi luminosi nel buio, roteandole l’attenzione scivola sulla parte opposta all’entrata.
Di Mac Hamay a malapena si percepisce il respiro. È sull’orlo di un’esplosione di gioia mista a stupore anche se lo sguardo tradisce la paura della delusione. Segue il professore come un automa.
Nel lato a loro opposto alcune candele consumate contornano una pianta di caffè alta poco meno di un metro. È dentro un vaso. Singolare, pensa Castelli.
Puntano dritti le torce sulla pianta. Fiori rosso rubino riflettono la luce, due ciliegie d’oro, oblunghe, pendono dalla pianta. Le foglie sono di un rosso pastello, striate da venature di bronzo.
– È lei! È lei Castelli. L’abbiamo trovata! – Grida Sir Mac Hamay stirandosi i capelli.
– Curerà il mio male, verrò ricordato per sempre, passerò alla storia per aver trovato la prima pianta di caffè al mondo Castelli! –
Mac Hamay ha i muscoli tesi, lo sguardo vigile, stringe la torcia. Castelli suda di nuovo ed è così confortante sentire gocce di sudore che anche lo stomaco gorgoglia pronto. Non adesso. Pensa. Non adesso.
– Che devo fare, cosa devo fare?– Sussurra.
Tra le ombre create dalle torce danza la sagoma della pianta.
Mac Hamay si fa avanti, i muscoli del viso disegnano un’espressione arcigna, rabbiosa. Strappa una ciliegia, la apre e manda giù un chicco crudo. All’istante la pelle si tira, le pupille si dilatano, il petto si gonfia.
– Lunga vita! Lo sento, sento la forza della pianta! Se ne vada Castelli, vada via, la pianta è mia, mia è l’eternità! – Grida brandendo la torcia infuocata.
Castelli lo fissa atterrito, la sua voce tuona da un luogo profondo, suona avida, scarna.
Devo andarmene. Devo prendere la pianta. Devo prenderla per studiarla. Pensa Castelli che si muove veloce, si ricorda di quando il padre, avvocato di successo, screditava la sua passione per il caffè. Può cambiare la storia e dopo anni può far tacere la voce del padre che anche dalla tomba sembra continui ad ammonirlo. Afferra la pianta. La pancia geme, una fitta lo colpisce.
– Non adesso per Diana.
Guarda Mac Hamay scomposto in una smorfia di dolore, fende colpi con la torcia. Della schiuma gli esce dalla bocca e senza rendersene conto, con movimenti spasmodici, incendia il legno che sorregge la struttura della cripta.
Castelli corre verso le scale, dietro di lui il fuoco divampa. La pianta è velenosa, pensa.
Le fiamme crescono veloci, Mac Hamay è a terra, grida, brucia mentre Castelli è punto da un senso di colpa misto a vergogna. Il fumo si fa nero.
Sale le scale in legno e fango, alle sue spalle la cripta crolla, tra le dita percepisce la pianta, è eccitato, spaventato e la vita mai gli aveva offerto un’opportunità simile. Rotola fuori rovinando a terra e con la pianta ben stretta tra le mani si allontana veloce.
Si guarda indietro, poi guarda la pianta.
l muscoli del viso del professore si irrigidiscono, al tatto i fiori ingrigiti sono polvere, creano un vortice in aria e spariscono; il tronco ora appare squamato e purulento, le due ciliegie ammuffite si sgretolano tra le sue mani e i semi di caffè si rivelano viscose poltiglie.
Castelli guarda il cielo, il vaso ormai vuoto e poi di nuovo il cielo. Respira nell’aria un sentore di cenere misto a fiori carbonizzati che subito svanisce, perdendosi nel torbido caldo africano.
Fine