A un ex professore di chimica in pensione viene commissionata una consulenza su una sconosciuta piantagione di caffè nel cuore dell’Africa.
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Quarta puntata
La raccolta, l’estrema attenzione nell’eliminare i chicchi verdi, la ricerca certosina. La divisione di seme e frutto prima del lavaggio e dell’asciugatura al sole, all’aria, la natura che forgia il sapore. Poi la spazzolatura per levigare i contorni ed eliminare la polvere d’argento. Quanto romanticismo c’è nel caffè? si chiede. La mente scivola sull’accurata separazione che segue la spazzolatura, la scelta di chicco in chicco per dimensione e integrità.
Che raffinatezza, che cura si può raggiungere dentro una tazzina.
Poi dalla fase ancora verde si passa all’invecchiamento, ma non sempre, quindi alla tostatura o “bronzatura” come solo lui nel settore è solito chiamare l’arrostire aromatico dei chicchi di caffè; l’apoteosi, il climax ascendente del puro godimento.
Poi segue l’insaccatura, le varie analisi fino a una bella macinatura. Castelli ha un ingrossamento nel basso ventre, è eccitato. Ogni volta è lo stesso, quando torna all’origine si rivede pezzo per pezzo il percorso del chicco e gode. Meglio di portarsi a letto una donna.
– Conosce la leggenda del Dio Waqa professore? – Mac Hamay interrompe l’idillio.
– Sì, ne ho sentito parlare. Se non erro, la tribù degli Oromo narra di un uomo che rifiuta una lunghissima vita predetta dal Dio Waqa poiché bramoso dell’eternità. Il rifiuto suscita l’ira del Dio intento a ristabilire l’ordine cosmico quando ancora sulla terra regnava il caos.
Waqa lo condanna a morte. L’uomo fugge ma la maledizione lo coglie il giorno stesso dopo un lungo viaggio in un luogo dove è atteso da quattro uomini intenti a scavare una tomba.
Giorni dopo Waqa si pente della decisione crudele e si reca sulla tomba dell’uomo, vedendo il suo corpo, versa lacrime che irrorano la terra e danno vita al migliore dei caffè del mondo, considerato una medicina dalla tribù. Le piante germogliano dall’acqua, questo caffè dalle lacrime di un Dio.
– Sì, più o meno è questo. Conosce anche il luogo dove giunse l’uomo in fuga?
– No, questo non credo sia menzionato nella leggenda.
– In occidente arriva ciò che deve arrivare. Dall’Etiopia l’uomo ha attraversato il confine con il Kenia fin qui a Kakuna. Ho acquistato questo appezzamento perché la tomba è qui.
Castelli teme di perdere conoscenza di nuovo, di avere una scarica di diarrea così forte da inondare tutta la piantagione e seppellire per sempre la tomba, sempre che esista. Per Diana, devo credergli?
– C’è un problema, motivo per cui ho bisogno di lei professor Castelli. – Mac Hamay estrae un accendino e arrostisce del tabacco speziato affumicando la notte limpida e afosa.
– Mi segua.
I due si inerpicano nel profondo della vegetazione, in alto la luna tonda appare gentile. Gli odori sono africani, di terra, di frutta, di caffè crudo. Di vita.
– Solo la prima pianta germogliata dalle lacrime di Waqua ha proprietà benefiche, cura i mali dell’uomo.
– Per Diana! Ne è certo?
– Professore. Suvvia. Per chi mi ha preso? Acquisto novanta ettari di terreno senza essere certo dell’investimento? Io non sotto stimo la sua intelligenza, lei non sottovaluti la mia.
Castelli sorride, consapevole che il tono della sua voce esca come il grido noioso di una poiana.
Superati grossi banani a protezione della piantagione, altre piante di caffè rigogliose si stendono a perdita d’occhio.
Mac Hamay sospira. Ha un’espressione colta e ingenua insieme, i suoi occhi tradiscono una spietata caparbietà, sono incrinati da rughe che ricordano una mela ammaccata caduta dal tavolo senza fare rumore. In lui dimora un vuoto ancestrale. Nota Castelli.
– E io come posso aiutarla? – Chiede il professore. Arreso all’idea di un’affascinante follia. Agnostico, scettico dal liceo, razionale. Figuriamoci. Pensa grattandosi.
– Come le ho detto, deve trovare l’arbusto germogliato nel luogo esatto della leggenda. Le bacche hanno una forma simile all’arabica ma oblunghe, narrano gli abitanti del posto. La pianta è della famiglia della Coffea Canephora, ha fiori rosso fuoco e non bianchi. Sono certo sia qui.
Castelli sente il bagnato della camicia sulla pelle. Negli occhi il dubbio brilla. Quel vecchio è curioso. Perché impiega tante risorse per una pianta che con ottime probabilità non esiste?
Si asciuga la fronte di continuo, piccoli moscerini gli restano appiccicati sulla mano.
– Dubito esista una pianta del genere.
– Non mi chiede, piuttosto, perché la cerco? – Domanda Mac Hamay.
– Ha voglia di dirmelo?
– Non sono tenuto, ma credevo le interessasse.
– Se vuole sono tutto orecchie. Altrimenti rispetto gli accordi.
– Professore, l’ho scelta tra tanti anche per la sua nota discrezione. Cosa ho da perdere? Ho un male incurabile, è un miracolo sia in piedi. Quella pianta è la mia ultima speranza.
Se sei abituato a osservare, lo vedi negli occhi delle persone il dolore, come il vuoto. Ma quegli occhi nascondono altro, custodi di un barlume troppo vivo per essere solo speranza. Lo aiuterò, pensa Castelli, almeno per lasciarlo morire in pace o per scoprire se mente.
Castelli guarda a terra, cela un’imbarazzante emozione di curiosità per il fascino della proposta di quell’uomo, così austero e fragile da metter su un gioco del genere per una fantomatica pianta di caffè.
– L’aiuterò, gliel’ho detto. Mi dispiace per la malattia. Ha una zona circoscritta dove cercare?
– Sì, siamo quasi arrivati.
La luna in Africa splende di luce argentata, illumina la vegetazione tutta intorno offrendo colori che non hanno eguali, scure tonalità di verde vive come in nessun altro luogo. Il suono di scimmie si perde tra banani, piante di caffè e in lontananza distese di foreste. L’odore di mango marcio misto a zolfo arriva dritto nelle narici del professore. Ora che la situazione è chiara, la pancia è in ordine.
I due si fermano nei pressi di un fascio di terra dove le piante di caffè sono meno fitte, grossi arbusti e piante gonfie di ananas contornano la zona.
– È qui. Ho circoscritto questa zona scartando il resto dopo mesi di ricerche. Qui cresce la pianta che ha con se la linfa delle lacrime di Waqua. Le altre, come le accennavo, sono piante di qualità ma prive di qualsivoglia potere. Le ho analizzate, toccate, osservate ma sembrano tutte uguali. Mi smentisca la prego.
– Farò il possibile per capirci qualcosa.
– Grazie professor Castelli. Grazie. È tempo di riposare, domani se il suo fisico lo permetterà vorrei trovarla in prima linea.
Quella notte, in preda al recupero definitivo dei postumi dell’incidente, Castelli sogna il Diavolo.
Si avvicina silenzioso nei pressi della piantagione. Lo prende per mano, ha la pelle rugosa, lo trascina al centro del terreno e scava una fossa profonda, Castelli lo segue, desidera seguirlo, non ha paura, è curioso. Scendono. Scendono nel profondo; terra, acqua, caldo, scendono ancora più giù, buio. Poi una luce potente, il Diavolo si gira e ha il volto di suo padre.