Michela Di Renzo: “Non so dire quanto queste donne mi somiglino, anche se so per certo che in loro c’è qualcosa di me”

Un'autrice di racconti che fa emergere, con apparente semplicità, emozioni forti e nostalgie profonde

I giorni del Palio di Michela Di Renzo (Betti 2020) è un libro che è destinato probabilmente a sorprendere i lettori. A prima vista potrebbe essere scambiato per un libro sul Palio e magari potrebbe essere acquistato da qualche turista in gita a Siena. Invece si tratta di una raccolta di racconti che mi sembrano belli e autentici, scritti con accuratezza e stile sicuro. Dalla lettura di queste storie emergono, con apparente semplicità, emozioni forti e nostalgie profonde, che si sollevano dalla superficie apparentemente tranquilla della vita quotidiana. Al centro c’è spesso una donna, disegnata sullo sfondo della vita di provincia, c’è il peso di una famiglia che “deve” restare unita, qualche volta anche malgrado tutto. Leggendo i racconti di questa raccolta, oppure quelli che Michela Di Renzo ha pubblicato in rete (ne trovate alcuni qui), scopriamo che si tratta di una narratrice vera che affida a queste storie la sua visione del mondo, senza mai intromettersi con la sua opinione d’autore, senza giudicare, senza trarre morali semplicistiche, lasciando che siano i personaggi con le loro vicende a parlarci, mentre li osserviamo insieme a lei. E così mi è sembrato naturale scambiare con lei qualche domanda e risposta.


Le protagoniste dei tuoi racconti sono perlopiù donne, è una scelta che fai a tavolino oppure ti viene naturale?

Francamente non ho mai riflettuto sul fatto che le protagoniste dei miei racconti siano quasi sempre donne, per cui direi che è qualcosa che mi viene naturale.

Queste donne ti somigliano? C’è autobiografia nelle tue storie?

Non so dire quanto queste donne mi somiglino, anche se so per certo che in loro c’è qualcosa di me, perché generalmente il racconto nasce da un’esperienza che ho vissuto e che viene modificata nel corso della scrittura. Ad esempio il primo racconto che ho scritto in vita mia, La lezione di nuoto, nasce dal ricordo del corso di nuoto nella piscina comunale di Siena, quando ho vissuto in maniera traumatica le prime lezioni sia per il freddo – sono sempre stata una freddolosa – che per il fastidio del cloro negli occhi. Dopo un paio di settimane mi venne la tonsillite e smisi di andare in piscina. Nel racconto però c’è il conflitto tra la protagonista e il padre sportivo, che la costringe a fare il corso, mentre nel mio caso fu esattamente il contrario, con i miei che non mi volevano mandare in piscina per paura che mi ammalassi e io che insistevo per emulare la mia migliore amica. Vinsi io ma alla fine hanno avuto ragione i miei genitori.

Queste tue protagoniste, come le vedi? Sono libere e spregiudicate oppure sono imprigionate da timidezze e pregiudizi?

Direi che le mie protagoniste sono imprigionate da timidezze e pregiudizi di cui vorrebbero liberarsi. Tendenzialmente mi piace metterle dentro a una gabbia, che spesso si sono costruite con le loro stesse mani e vedere cosa fanno per uscirne e fino a che punto sono pronte a mettersi in discussione. Nel racconto I giorni del Palio, ad esempio, la protagonista è consapevole della crisi del proprio matrimonio ma non sa ancora se è pronta o no a lasciare il marito.

L’amore è un obbiettivo da rincorrere, oppure ci hanno messo una pietra sopra e pensano solo a rendersi più sopportabile la vita?

Nel racconto di cui parlavo l’amore è ancora un obiettivo da rincorrere per la protagonista che teme però il giudizio della madre che disapproverebbe la separazione della figlia. Di autobiografico c’è la frase della mamma “qualunque cosa tu decida di fare della tua vita non farti ridere dietro”. L’editor la definì “telefonata” che in gergo radiofonico significa prevedibile ma mia madre parlava così.

Le storie si svolgono a Siena, fai riferimento al Palio già nel titolo, ma mi sembra che la tua ambizione sia quella di narrare la commedia umana che si svolge ovunque con caratteristiche simili, cosa c’è di senese?

Nei miei racconti Siena è molto presente perché è la città dove ho sempre vissuto e che conosco meglio: direi che di senese c’è l’ambientazione in termini di strade e di piazze; oltre all’atmosfera di provincia che probabilmente oggi è cambiata ma che quando avevo vent’anni io si sentiva parecchio e che a quei tempi mi stava un pochino stretta. La scelta di nominare il Palio nel titolo del libro è qualcosa che ho condiviso con l’editore perché Siena è conosciuta in tutto il mondo proprio per il Palio. Per me però I giorni del Palio ha anche un significato diverso, perché si riferisce al mio modo di vivere la scrittura, ovvero qualcosa che non faccio tutti i giorni della mia vita – io sono e resto fondamentalmente un medico – ma che è fonte di energia vitale.

Spesso, nelle tue storie, la realtà si rovescia e viene fuori una visione più profonda, che demistifica l’apparente buonismo di superficie, era quello che volevi fare fin dall’inizio o lo scopri scrivendo?

Il rovesciamento della realtà che sotto le apparenze è diversa da quello che sembra è il leitmotiv di molti racconti e lo definirei intenzionale nel senso che è anche il leitmotiv della mia vita. In parte dipende dalla provincia in cui sono cresciuta, in cui conta molto quello che sembra, e in parte dipende dal fatto che io tendo spesso a fermarmi in superficie; quando la vita poi ti costringe a scavare è inevitabile restare delusi, sia dagli altri che da se stessi.

Un racconto che mi ha molto colpito è quello che descrive la misteriosa apparizione dei granchi nella vita di una giovane coppia, come ti è venuto in mente?

Crabs nasce da un’esperienza autobiografica. Diversi anni fa andai con il mio ragazzo di allora a Cuba e ci trovammo in un’area dell’Isola dove tutte le sere, in un determinato periodo dell’anno, una marea di granchi esce dal mare e va a deporre le uova dall’altro lato di una strada percorsa da macchine e autobus. Io, che ho la fobia di questi animali, rimasi traumatizzata dal viaggio di ritorno in macchina dopo un’escursione, quando centinaia di granchi rimasero schiacciati sotto le ruote della nostra auto. Ovviamente una volta arrivati all’albergo ce ne avevano bucate tre e non fu facile trovare un gommista.

Cosa ti piace della forma racconto?

La forma racconto è l’unica che conosco perché le scuole di scrittura che ho frequentato sono improntate su quello. Ora che sto affrontando con molte difficoltà la stesura di un romanzo, mi rendo conto che ha di bello il fatto di vedere compiuto qualcosa in un tempo relativamente breve. Direi che è meno faticosa e questo è un pregio per una persona un po’ pigra come me.

Alcuni racconti hanno una venatura surreale, quasi fantastica, in uno parla un naso… il realismo in certi casi ti va stretto?

L’aspetto surreale della mia scrittura è qualcosa che mi sorprende. In realtà io come lettrice detesto il genere surreale e prediligo da sempre il realismo, ma evidentemente quando si tratta di scrivere mi viene fuori questa vena allucinatoria. Il naso che parla in un racconto nasce dal fatto che io sono una nasona e mi piaceva dare voce a una parte di me brutta ma che mi contraddistingue. Solo dopo ho scoperto che anche Gogol ha fatto parlare un naso in uno dei suoi racconti. E dal ritratto sembra avere avuto un naso sporgente anche lui, anche se più aggraziato del mio. Sarà sicuramente per questo che il suo risultato letterario è migliore…

Alcuni dei tuoi racconti – non solo quelli pubblicati su questo libro, anche quelli che si possono trovare online – raccontano episodi ambientati in ospedale, anche durante il covid, certe scene sono davvero toccanti, anche se scritte con il tuo tono preciso e lieve. Come si fa a raccontare situazioni che ci coinvolgono direttamente così da vicino?

Come medico mi capita spesso di trovarmi in situazioni toccanti, soprattutto in questo periodo di covid, in cui la malattia e la morte sono diventate pane quotidiano. E’ stato proprio in questo momento storico però che mi sono resa conto che la scrittura poteva essermi di aiuto nell’elaborare la tristezza di tutti i giorni e mi ci sono buttata a capofitto, senza provare nessuna fatica. Visto che il lavoro mi offre così tanti spunti, un’amica mi ha consigliato di intitolare la prossima raccolta I racconti del Pronto Soccorso. Ma ancora non ho le idee chiare in proposito.

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Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

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