Della struttura narrativa di questo romanzo si possono dire molte cose: la prima che mi viene, di getto, come il fiotto di luce chiara che tanto spesso compare nelle descrizioni, è che costruito come un’impalcatura, assi più grandi e più piccole incastrate le une nelle altre a creare un’armonia oscura e luminosa al contempo.
Ed è facile su questo piano d’appoggio mettere un piede in fallo e perdere l’appiglio, la presa, e ritrovarsi immersi, da lettori, nel territorio vivido della mente e del cuore dei personaggi, che, in un caleidoscopio, alternano i loro punti di vista, spesso senza nette soluzioni di continuità, ma sempre in maniera lucida.
Queste storie di impossessano di te, semplicemente.
Siamo nel mondo affaristico, crudele, della ex DDR dopo la riunificazione delle due Germanie. Quello che si perde è la sicurezza in un mondo sonnolento, molto indietro rispetto alla ex Ruhr, all’Ovest come viene chiamato, e che si apre, per la prima volta al commercio libero. La cosa più redditizia è, ovviamente, il mercato del sesso. Perché il sesso è qualcosa di torbido, di nascosto e di eccitante e non è mai solo e soltanto una faccenda di corpi e di sfregamenti, ma a che fare con la materia ribollente del desiderio.
Le storie di donne e ragazze, spesso ragazzine estremamente giovani, si alternano a quelle dei tenutari di bordelli o proprietari o magnaccia o comunque si chiamino. Sex work is a work è il motto posto a base delle rivendicazioni sindacali delle lavoratrici del sesso, quando chiedono orari di lavoro concordati, riposi settimanali e ferie pagate. E del grande affare che il mercato del sesso contiene se ne accorgono anche le autorità tedesche post riunificazione quando promulgano leggi che mirano a riscuotere le tasse sul ricavato che dà questo tipo di lavoro.
I protagonisti maschili hanno tutti un filo d’argento che li muove, intorno alle ragazze. C’è Hans, che sistema le sue ragazze in appartamenti ammobiliati e confortevoli, e poi continua a riandare con la memoria al tempo felice prima della caduta del muro, mentre al contempo cerca di fare affari con la malavita internazionale del traffico dei diamanti. Arnold, detto Kalasnikov, imprenditore immobiliare fallito che entra nel business della prostituzione e si innamora, come un ragazzino, di una bellissima donna trans, che lui e gli altri clienti continuano a chiamare ladyboy.
C’è un padre smarrito e mangiato dai sensi di colpa che cerca la figlia da molti anni, una ragazzina scomparsa e probabilmente morta, travolta dall’eroina, e che sfiora la vita del poliziotto che indaga sulle morti sospette, e che, inevitabilmente, si rassegna al fatto che di corpi portati via dal fiume o sotterrati nella terra ghiacciata ce ne sono troppi.
Ci sono gli sguardi delle ragazze ucraine o turche o rumene, che hanno lasciato le loro famiglie e la vita grama che le avrebbe avvolte, mentre aspettano lo squillo del telefono che annuncia un appuntamento, le chiacchiere fatte per riempire i vuoti, la pioggia gelida della Germania inclemente che le inghiotte in un tempo bianco simile a ovatta.
Ci sono le bambine appena adolescenti, con le famiglie in pezzi, madri alcolizzate e patrigni maneschi, con il pube rasato per dare ai clienti l’illusione di una forma d’infanzia prolungata, la loro gioia quella di mangiare patatine e colorare vecchi albi di fumetti di Topolino, che nella DDR, erano illustrate senza colori. Spumante tipico dell’Est con la carta argentata rossa che continuano tutte a chiamare “cappuccetto rosso”, e che assurge a simbolo di un tempo finito.
C’è il racconto, uno dei tanti, strazianti, di una vecchia ragazza ormai travolta dall’Alzheimer, che narra, senza pudore, della sua passione per le donne, il suo corpo che aderiva a quello di una ballerina, mentre è convinta di avere ancora e sempre 33 anni. E ovunque corpi, belli e scultorei, o deformati dall’età, con i loro odori cattivi, le unghie sporche, gli afrori che indugiano tra le lenzuola, prima che siano messe a lavare.
Le caverne del titolo, sono la rappresentazione di un mondo che riproduce, sotto le finte possibilità luccicanti, la spietatezza e la ferocia estrema del tempo preistorico, dove i predatori sono quelli che vincono, quelli che quando azzannano lo fanno alla giugulare e non mollano finché non dissanguano la preda, e ne abbandonano la carcassa, sazi.
In qualche modo è un romanzo dove i legami dei protagonisti si intrecciano e si disvelano, ma spesso quello che si trova al di là del sipario è un bosco più spaventoso di quello messo in scena, perché è il mondo vero. La luce prepotente, calda nelle brevi estati tedesche, cola a rivoli sul verde e si alterna al freddo umido che corrode le articolazioni allo stesso modo in cui le voci narranti vanno incontro al loro momento di tregua, o di bellezza o all’ illusione d’amore che diventa il loro destino.
Varchi le porte tra le pareti di carta. Attraversi la luce gialla come un tunnel. Vedi due bambini seduti a un tavolo. Portano delle vesti pelose, intravedi pelle bianca fra strati di pelo. Trafficano con dei fogli appoggiati sul tavolo. Si tendono le mani da un alto all’altro del piano. Ti guardano, e tu riconosci te stesso negli specchi tondi degli occhi.