“Tempi eccitanti” di Naoise Dolan (Blu Atlantide)

Ava sta cercando qualcosa di rassicurante per una generazione costantemente in bilico, abituata a mascherare la paura del futuro con una sorta di euforia

Ava ha 22 anni, pochi soldi e tanta voglia di scoprire un mondo oltre Dublino. Non è mai stata a Londra ma decide di andare a vivere a Hong Kong e di lavorare insegnando inglese in una scuola. “Ero stata triste a Dublino, e avevo deciso che era colpa di Dublino, così mi era venuto in mente che Hong Kong avrebbe potuto aiutarmi”.

Inizia così la nuova vita di questa rampante e, a tratti malinconica, millennial.  A scuola la pagano troppo poco per il tenore di vita di Hong Kong, quando provvidenzialmente rivede Julian, un rampante banchiere oxfordiano, gentile e distaccato quanto basta per non farsi coinvolgere in una relazione. Lui la ospita, e dalla stanza degli ospiti al letto in comune il passo è breve. La loro relazione non ha contorni definiti, sembra più un’amicizia con il benefit sessuale, nella quale entrambi sembrano a loro agio, a parte qualche dissonanza lieve. Ava non viene mai presentata come fidanzata agli amici di Julian, e questo la disturba, come la disturba il fatto di sentirsi inferiore a lui, dal punto di vista lavorativo, ma non ha alcun problema a farsi mantenere da Julian. Le conversazioni tra loro sono elusive, fatte di motteggi, di possibilità accennate e lasciate cadere, in un ménage preciso come un contratto che soddisfa entrambi.

Il loro equilibrio si ribalta quando Julian va a lavorare in Europa e le permette di continuare ad abitare in casa sua.

Ava conosce Edith, una giovane avvocata cinese che vive a Hong Kong, e dà luogo alla sua passione nascosta per le ragazze. La loro storia è da subito coinvolgente, identitaria, fatta di instagram stories spiate, di mostre e concerti ascoltati insieme. Il modo di flirtare è esattamente lo stesso di quello usato con Julian, ammettere, alludere, lasciarsi corteggiare. Solo che con Edith la posta in gioco è più alta. “Noi siamo compatte” dice Ava, a proposito del modo di dormire insieme, intrecciate come serpenti, nel letto di Julian. Tuttavia non riesce a dire a Edith che la casa in cui vive è la casa di un ex, tenuto in una relazione sospesa. Ogni tanto ci prova a mandare mail e messaggi, per spiegare le novità a Julian, ma le rimangono in memoria senza essere inviati al destinatario, oppure si cancellano misteriosamente.

Edith è brillante, acuta e di successo, ma non sopporta le bugie, e quando scopre che Julian non è semplicemente un ex coinquilino per Ava, si infuria.

Si lasciano, con un profluvio rabbioso di rivendicazioni e gelosie.

Julian torna e, senza soluzione di continuità, riprende la sua relazione con Ava, e la confusione di quest’ultima esplode, perché in realtà è ad Edith che sono rivolti i suoi pensieri.

La comodità di una relazione eterosessuale, meno coinvolgente e meno appassionata, sembra un modo saldo di ancorarsi ad una realtà liquida, sfuggente. Ava non è esattamente felice, ma ha imparato a trarre vantaggi dalla confusione emotiva della quale si nutre e che si lascia aggrovigliata addosso come una sciarpa fuori stagione. Quello che Ava sta cercando è qualcosa di rassicurante, per una generazione costantemente in bilico, che è abituata a mascherare la paura del futuro, con una sorta di euforia spensierata, e al tempo stesso di emozionante, che la faccia sentire sempre eccitata. Ma non sempre saldezza ed emozione sono conciliabili, le garanzie non sono possibili nelle storie d’amore. E Ava lo impara in fretta.

Perché è così difficile amare, e perché, a volte, ci rifugiamo in storie dove l’amore è assente per restare al sicuro, all’asciutto sulla riva, invece di solcare le tempeste? Perché alcuni di noi hanno il bisogno di controllare ogni cosa, e l’amore, il desiderio, fa impazzire. Ci lascia esposti, nudi, tremanti, all’addiaccio.

Volevo che dicesse di più.

Perché ero innamorata di lui, potenzialmente. Ero innamorata di lui, oppure volevo essere lui, o mi piaceva essere qualcuno a cui assegnava dei compiti.

Non avevo avuto spazi in cui vivere bene a Hong Kong prima di incontrarlo, dunque era possibile che in realtà amassi solo la sensazione di sentirmi pensare in silenzio e di respirare aria pulita; era una distinzione plausibile perché era proprio quello che facevo nel suo appartamento.

“Julian, cosa siamo?”

“Sarei un pazzo a saperlo”.

“Lo sei comunque”.

“Il tuo entusiasmo per la vita è contagioso”.

“Proprio come il tuo esserne immune”.

Stavamo facendo quello che facevano lui e Miles, recitavamo scenette. Julian lo faceva con tutti: improvvisava fin quando non decideva quale sarebbe stata la sua dinamica con loro, poi ci restava aggrappato a vita.

“Sei innamorato di me?” gli ho chiesto.

Quello che ha detto dopo non mi ha fatto stare male. Era esattamente ciò che stavo cercando per uccidere qualsiasi sviluppo.

“Mi piaci moltissimo – ha detto -. Ora vai a nanna”.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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