Il brodo di rape rosse ombrato di erbe aromatiche di campo, con riduzione di Porto, da servire a temperatura ambiente è sul fornello. Lo Chef alza la fiamma, ha preparato e tenuto pronto il brodo nel pentolino ogni sera che Dio gli ha concesso.
Quanti ne ha sprecati, ma non questo.
Monsieur Papille viene fatto accomodare. Un cenno deciso verso il cameriere così che si sbrighi a portare il menù. Papille adagia il set di posate personali sul tavolo. Il cameriere lo guarda.
– Ha da guardare? Le posate altrui sono sporche.
Il panno che custodisce gli utensili ha una P ricamata in stampatello, il cameriere sbatte gli occhi.
In quel fagotto c’è il cappio che con buone probabilità si stringerà di nuovo attorno al collo dello Chef Mauro Sagripanti, un tempo Chef tre stelle Michelin, mica un Azzeccagarbugli da strapazzo. Tre stelle Michelin. Un tempo. Pensa il cameriere.
Se lo immagina frignare, sbattere pentole distruggere la cucina.
Un giovane sommelier serve dell’acqua naturale e propone la carta dei vini a Papille.
Senza concedergli uno sguardo, il critico gastronomico gli ricorda che per quanto lui conosca ogni etichetta presente sul territorio italiano, il vino confonde la mente, gli odori, il gusto e che se lo riportasse indietro il vino. Se lo ficcasse dove meglio crede.
Se lo bevesse lui purché non lo si distragga.
Il ristorante ha pochi coperti occupati. Sceglie il martedì per far visita ai locali da recensire; è il più anonimo dei giorni della settimana, la gente se ne sta a casa e la guardia degli Chef è più bassa.
Le luci della sala sono squallide, biancastre. I quadri al muro vergati da una firma sconosciuta hanno colori piacevoli, troppo allegri.
Le mani del sommelier.
Le mani del sommelier non mi sono sembrate curate come ci si aspetterebbe. Anche fosse una bettola, avranno per Dio un minimo di accortezza igienica. Pensa mentre tira fuori il suo taccuino nero.
Sfiora la pelle. L’odore della pelle aiuta la concentrazione, l’odore della pelle del taccuino è l’odore del ferro battuto della lama del boia.
Stelle che vivono della luce di un passato culinario che, prostrate dinanzi ai suoi nove milioni di followers su YouTube, si spengono nel cielo del giudizio popolare. Michelin, inutile congrega di benpensanti autoreferenziali figli del nostro tempo.
La voce del popolo conta.
E io sono la voce del popolo, il gusto del popolo, perché il popolo è le mie orecchie e io la loro lingua.
Mentre pensa annota le riflessioni e copia il menù sul taccuino.
Guide, stelle, gamberi, identità, blog di settore. Tutti mangiano e tutti parlano. Avessero uno straccio di attenzione per il valore più alto del cibo, l’unico: Il nutrimento.
Il più alto dei valori, il nutrimento. Mi piace questa frase, pensa.
La scrive due volte, e la sottolinea tre volte, Papille. E la ripeterà durante il prossimo stream.
Un bel ricordo gli salta in mente. Mesi prima su Forbes, lo inserirono tra le personalità più influenti del 2020. Scrivevano di quando riconobbe del mascarpone in polvere e non fresco. Accadde allo Chef Rostri, due stelle Michelin e una trafila di premi vari polverizzati in una pietanza servita durante una cena di gala dell’Ambasciata Americana. Lo Chef, poche settimane dopo la recensione sul canale YouTube “Papille”, cadde in rovina e finì ad architettare un falso tentativo di suicidio per un po’ di visibilità, smascherato da un giornalista di cronaca.
Il mio canale ha più potere di qualsiasi guida.
E non credo si sia più ripreso quel mentecatto. Che uomo misero.
Stelle che brillano sui social network vendendo cibo a peso d’oro si rivelano per lo più vuoti gusci di tartaruga.
Nel ristorante il menù degustazione è unico. Dietro il sottile muro color ciliegia che divide la sala dalla cucina, lo Chef conclude l’entrée. Lo stesso entrée che gli costò una recensione deleteria anni prima.
Socchiude gli occhi in una fessura di rabbia, le mani lisce ballano sul vasetto di terracotta mentre mettono via di nascosto una fialetta trasparente. Il brodo è arroventato, fumo denso sale dalla pietanza. Ci siamo. Vicino allo Chef il Commis è impaziente:
– Perché impiega così tanto per chiamare? Non è da servire a temperatura ambiente? – Chiede.
Senza rispondere lo Chef Sagripanti suona il campanello, è pronto.
Di nuovo questa brodaglia, come l’ultima volta.
Il brodo a occhio è non più di sei cucchiaiate. Gocce di olio sono sparse per la superficie. Il rosmarino è un rametto adagiato di lato, due foglie di alloro e alcuni fiori eduli riposano nel centro, a sinistra della circonferenza del piatto una foglia verde brillante di menta con del pepe bianco impreziosiscono la portata.
Che geometria banale. Pensa Papille mentre inspira gli aromi dal naso e il calore gli arrossa le guance. Gli occhi schizzano veloci. L’emulsione dell’olio non è perfetta. Una stella Michelin gli è rimasta, a questo sbruffone.
Osservare, odorare, pasteggiare, ricordare e smascherare. Questi i cinque capisaldi di Papille.
Con un cenno nervoso allontana il cameriere.
Lo “spiegone” del piatto lo facesse a casa sua quando ripete il menù. Sussurra. Che mortificazione emotiva poi la privazione della scoperta. Mi racconti il piatto e io che gusto ho?
Tutti trattengono il fiato. Immobili come mosche incollate a una ragnatela. Lo Chef è impaziente e sicuro. Troppo per la situazione, pensa il Commis. E quel ragazzetto sbarbatello, il cameriere, vorrebbe gridare: – Papille sei grande! – Ma tace.
Papille avvicina il cucchiaio alla bocca, socchiude gli occhi. Il brodo fumante è denso come lava, piega il cucchiaio verso le labbra.
I sapori osservati li ritrova tutti, ma un sentore di un’erba già incontrata durante alcune chiacchiere con lo Chef Antonino Cannavacciuolo salta al naso. Ma non c’è tempo, il liquido cola in bocca. Ne riconosce l’odore. Possibile sia Panace di Mantegazza? È troppo tardi. Non può vedere gli occhi dello Chef, ma intuisce.
Il dolore esplode; sente ogni singola papilla gustativa bruciare, le mucose sciogliersi, il palato foderarsi di carne squamata nell’ultimo impietoso sentore che gli è dato percepire tra le rape stracotte: La tossica Panace di Mantegazza, un’erba capace di causare gravi ustioni, lasciare cicatrici permanenti fino a distruggere le cellule del tessuto epiteliale.
In cucina lo Chef Sagripanti resta impassibile. Il ristorante diventa un vespaio di grida e corse d’aiuto, Papille è a terra accanto al suo tavolo, con una mano graffia il collo come per strapparselo mentre con l’altra stringe il suo taccuino.
Continua…