“Primavera” di Ali Smith (edizioni Sur)

Un viaggio che ci fa interrogare sul senso di esclusione che continua a caratterizzare la storia dell'umanità

Una storia che accade quando accade la Storia, quando le cose sono già cambiate per tutti, quelli che guardano e quelli che ne diventano i protagonisti, in un mondo in cui la diversità, la provenienza geografica e la voglia di vivere una vita dignitosa, senza un pezzo di carta che certifichi la legalità dello spostamento, sono motivi per restare impantanati nei centri di detenzione in attesa di essere rimpatriati. O dimenticati nell’attesa di disposizioni.

Siamo confini e vincoli, e filo spinato, in senso fisico e metaforico, sotto lo stesso cielo. Sulla stessa sponda del fiume esistono storie che saranno raccontate da chi ascolta il lamento di chi non conta, di chi ha nomi destinati ad essere storpiati, persone come numeri.

In Inghilterra, in un mondo non perfetto, eppure efficiente, c’è una ragazza non particolarmente bella, né dotata di grandi capacità, una ragazza come tante, Brittany, che lavora come agente di sicurezza in un centro di detenzione per immigrati, un lavoro non appassionante, sì, però sicuro, che le permette di pagarsi l’affitto e di pensare alle vacanze. Un lavoro che non manca di suscitare orrore di tanto in tanto, al punto che Brittany, comincia con il parlare con gli oggetti in cerca di una via di fuga mentale sommessa e tenera.

Nello stesso tempo di Brittany vive Richard, un regista televisivo, non più giovane, perduto nella lacerante perdita della sua migliore amica e alter ego professionale, e disturbato dai lavori dozzinali che gli propongono, che cerca una via di fuga da Londra e dal disagio esistenziale che lo invade come una marea, e che viene salvato dal suicidio dalla grazia gentile di Florence, la terza protagonista della storia.

Le vite di questi due personaggi, che in circostanze normali non si sarebbero neppure sfiorate, si fondono per un momento, quando conoscono appunto Florence, una ragazzina particolare, dai poteri misteriosi e dallo sguardo luccicante che cerca la madre e il fratellino in Scozia. Florence ha fama di aver sollevato un polverone nei centri di detenzione, quando è apparsa, (e non si sa come abbia fatto ad eludere la sorveglianza), nell’ufficio del direttore e ha rivendicato pulizia dei bagni, un cibo di migliore qualità, e soprattutto ha posto inquietanti domande alle quali il direttore non ha saputo rispondere. La detenzione è una forma di prigionia, giusta e inevitabile per coloro che hanno commesso reati, ma chi staziona in questi centri non ha violato alcuna legge, visto che non c’è una legge che vieti alle persone di spostarsi dal proprio paese di origine e cercare altri luoghi. Florence lascia tutte queste osservazioni a galleggiare nell’aria, le piccole dita alzate.

Brittany riconosce la bambina alla stazione della metropolitana, e, senza un’apparente spiegazione che soddisfi lei stessa, la segue, compra un biglietto per la Scozia e sale sul treno con lei, senza far altro che una breve telefonata al lavoro in cui dichiara di averla vista e che deve seguirla. Sulla stesso treno viaggia Richard, sonnecchiante e disturbato dalla vita che si lascia alle spalle, dalla freddezza dei figli della sua amica che non lo vogliono al funerale perché è riservato ai parenti più stretti e il miglior amico non ha posto nella scala gerarchica delle parentele.

Florence ha con sé una vecchia cartolina ammorbidita dal contatto con tante mani, che contiene parole innocenti e misteriose che, forse, vogliono dire altro rispetto a quello che si legge. Tutti e tre intraprendono questo viaggio perché hanno bisogno di farlo, i due adulti presi in un momento di blocco emotivo, quando la ragazzina li connette per un po’ con la parte più libera che ogni essere umano ha dentro di sé.

Quello che accade è un piccolo cambiamento nella vita di Richard e Brittany, che rimettono in discussione i loro punti fermi, le certezze che tengono in vita le persone che si identificano con un ruolo e fanno di quel ruolo l’unica maschera che possiedono, al punto da aver dimenticato di essere altro da quello che si vede.

Quello che accade al lettore è un viaggio da sud a nord, in luoghi freddi, dove la Primavera non porta che un poco di sole in un cielo blu compatto, e il sentirsi coinvolto in una girandola di domande destinate a farlo interrogare sulla giustizia, e sul senso di esclusione che, nascosto da sigle rassicuranti, continua a caratterizzare la storia dell’umanità.

Dove decidiamo di stare alla fine della storia, e quale personaggio ci è piaciuto di più è il piccolo miracolo che compie la scrittura di Ali Smith, che lascia indizi nel nostro percorso interiore.

E se, dice la ragazzina. Invece di dire: questo confine divide questo posto da quest’altro. Dicessimo: questo confine unisce questo posto con quest’altro.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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