Quelle vacanze erano cominciate male sin dal primo giorno: sua madre appena arrivata alla casa al mare era scivolata sugli aghi di pino slogandosi una caviglia. Mentre il suo patrigno la accompagnava in soggiorno strattonandola per la vita e cercava del ghiaccio da metterle sul piede, del tutto inutilmente visto che la casa era chiusa da mesi con il frigorifero staccato, Elena aveva dovuto scaricare da sola tutte le valigie dalla macchina, nonché le cassette di frutta e verdura comprate il giorno prima della partenza: i suoi erano infatti fermamente convinti che i prodotti della campagna senese fossero di qualità superiore rispetto a quelli maremmani oltre a essere meno cari. Del resto come ripeteva fino alla noia sua madre sotto l’ombrellone, incurante del bagnino e dei proprietari del Bagno Nettuno, “si sa che a Castiglioni lavorando tre mesi vogliono camparci tutto l’anno”. Era per questo che Elena cercava di andare al mare verso l’una proprio quando i suoi tornavano a casa a mangiare e senza nemmeno fermarsi a posare l’asciugamano andava spedita alla spiaggia libera a cercare Giulia, l’amica del cuore dei mesi estivi.
Poi da Siena era arrivata la notizia che la mamma del patrigno era ricoverata in ospedale per una polmonite: lui era partito di corsa e telefonava raramente, giusto per dire che non sapeva quando sarebbe tornato. Elena si era ritrovata a dover fare la spesa, cucinare e pulire la casa tormentata dal malumore di sua madre che ogni mezzo secondo le ricordava che era buona solo a studiare. Insomma era proprio un’estate del cavolo.
Alla fine come se non bastasse era arrivata Ludovica, anzi la Ludo, come dicevano a Milano: era da lì che proveniva lei che per la prima volta era venuta al mare in Toscana ed era capitata guarda te a Castiglioni. Alta, slanciata, con una massa di riccioli neri, un paio di occhi verdi un po’ troppo svegli per una ragazzina di sedici anni e quell’esotico accento del Nord: Giulia ne era rimasta folgorata.
A qualunque ora della mattina o del pomeriggio Elena arrivasse sulla spiaggia loro due erano già lì, sdraiate sul bagnasciuga con i loro teli appiccicati, in modo da poter parlare a bassa voce senza che gli altri sentissero le loro conversazioni, continuamente interrotte da risolini e sguardi di intesa. Lei si metteva accanto a Giulia come aveva fatto per anni pronunciando un timido: “Ciao che fate?” ma Giulia le dedicava appena uno sguardo e la Ludo manco si girava. Allora provava a spostarsi, stendendo l’asciugamano vicino alle loro teste in modo da poter intervenire nei loro discorsi ma non serviva a niente lo stesso. Era anche vero che la maggior parte delle volte non sapeva che dire: Giulia e la Ludovica parlavano spesso di vestiti perché la Ludo ci teneva parecchio tanto da presentarsi sulla spiaggia sempre con un telo di colore diverso abbinato al costume. “Sai a Milano c’è così tanta scelta” diceva sollevando le sopracciglia che formavano due archi perfetti. Elena di costumi ne aveva giusto un paio che le aveva passato sua cugina e che ora per la prima volta le sembravano stinti e sfilacciati. Ma di comprarne uno nuovo in casa manco a parlarne. Nemmeno Giulia aveva mai dato molta importanza al vestire fino ad allora, cresciuta com’era con due fratelli che la chiamavano “la balena” perché era cicciottella. Ma ora si era messa a dieta, aveva comprato un due pezzi sgambato e su consiglio della Ludovica si stava facendo allungare i capelli che di solito portava tagliati a caschetto.
E poi c’era l’argomento ragazzi perché la Ludo aveva già il fidanzato e raccontava con dovizia di particolari il suo primo bacio insieme a qualche altro dettaglio. Mentre Giulia se la mangiava con gli occhi, Elena guardava altrove, perché a sedici anni ne dimostrava dodici, con la sua figura gracile e infantile, e non solo non aveva mai baciato nessuno al di fuori del gioco della bottiglia ma quando andava alle feste non veniva mai invitata a ballare.
La sera dopo cena quando Elena passava a prendere Giulia per andare a sedersi sul solito muretto, Giulia sembrava la stessa di sempre fin tanto che non arrivava la Ludo. A quel punto per prima cosa Giulia la faceva salire in camera e si faceva ritoccare il trucco. Poi le chiedeva consiglio su cosa indossare. Solo allora si decideva ad uscire. Elena che fino ad allora si metteva giusto il lucidalabbra aveva iniziato a truccarsi anche lei usando una vecchia trousse di sua madre ma quando aveva provato a chiedere alla Ludovica se le insegnava ad usarla lei le aveva risposto: “Certo, domani” con un tono da cui si capiva lontano un miglio che non lo avrebbe mai fatto.
Poi sul muretto Giulia e la Ludo tutte agghindate attiravano l’attenzione dei ragazzi che proponevano o una corsa in vespa per andare in paese o un giro in barca a vela il giorno dopo. Anche i fratelli di Giulia davanti alla Ludovica non perdevano occasione per mettersi in mostra. La Ludo sorridendo dava loro del pirla che a detta sua a Milano significava cretino ma dal modo in cui lo pronunciava non sembrava proprio un’offesa. Giulia la guardava orgogliosa, così orgogliosa di esserne amica che una volta davanti a tutti le aveva detto: “Se faccio una figlia la chiamo Ludovica.” In presenza della Ludovica tra l’altro i fratelli di Giulia smettevano di prendere in giro la sorella, anzi qualche volta addirittura le facevano un complimento associandola all’amica belloccia con espressioni del tipo: “Guarda te stasera che fiche”. Elena se ne stava zitta in disparte e il più delle volte tornava a casa dopo una mezz’oretta senza salutare nessuno.
Un pomeriggio di fine Agosto il cielo era coperto e tirava un bel libeccio: il mare si stava ingrossando. A Giulia era venuta la voglia di fare un bagno ma la Ludo che sapeva giusto stare a galla non ne volle sapere. Allora si rivolse ad Elena e le chiese con lo stesso entusiasmo di una volta. “Nena che dici, andiamo noi due?”. Elena ci pensò un attimo: nemmeno lei nuotava benissimo e il bagnino quel giorno aveva issato la bandiera rossa ma era tanto che lei e Giulia non facevano un bagno insieme da sole. Vicino alla riva provarono a fare il loro gioco preferito: passare in apnea una sotto le gambe dell’altra gareggiando a chi delle due restava sott’acqua più a lungo. Quella sera però la corrente sollevava così tanta sabbia che era impossibile farlo. Poi iniziarono a tuffarsi sotto i cavalloni: di solito era bello sentire le onde che passavano sopra la testa senza fare rumore ma quella volta il mare urlava parecchio. Elena stava per uscire quando Giulia le propose di andare più al largo, dove c’era una secca ed il mare sembrava più calmo. Elena la seguì. Lì avrebbero potuto parlare come ai vecchi tempi, tanto non le avrebbe sentite nessuno: Elena si sarebbe sfogata di sua madre che se la prendeva con lei ogni volta che discuteva col patrigno, mentre Giulia si sarebbe lamentata dei suoi fratelli che la tormentavano giorno e notte. Ma quando arrivarono alla secca il mare non era piatto come sembrava ed iniziò a piovere. Non ci fu tempo di dirsi niente se non che era meglio tornare. Il mare nel frattempo era ulteriormente peggiorato. Le due ragazze faticavano ad avvicinarsi alla riva: tutte le volte che sembravano arrivare a pochi metri dalla battigia, dove si toccava, il risucchio delle onde le riportava indietro e formando dei mulinelli le spingeva sott’acqua. Ad un certo punto Elena che nuotava peggio nonostante impegnasse tutte le sue forze stava addirittura prendendo il largo mentre Giulia che era più sportiva ce l’aveva quasi fatta. Però quando vide Elena in difficoltà tornò indietro, la raggiunse in poche bracciate e le disse: “Attaccati alle mie spalle e batti i piedi” ma in due non si muovevano affatto. Ogni tanto un cavallone le travolgeva e poi un altro ancora schiacciandole con quintali di acqua salata e riportando via Elena con la corrente. Giulia allora la inseguiva e la riacchiappava di nuovo per le braccia. Presto fu chiaro a entrambe che da sole non ce l’avrebbero mai fatta. Allora Giulia iniziò a gridare: “Aiuto, aiuto” agitando le mani. Elena stremata batteva i denti e piangeva come una vite tagliata avvinghiata a Giulia che continuava a chiamare aiuto. Dopo un tempo che alle due ragazze parve infinito videro arrivare due bagnini con una ciambella arancione. “Presto, aggrappatevi a questa.” Neanche per i bagnini fu semplice arrivare fino alla spiaggia perché il vento soffiava sempre più forte ma loro erano allenati. Sul bagnasciuga si era radunata una piccola folla tra cui la madre di Elena che appena la vide uscire dall’acqua le disse: “Solo a te poteva venire in mente di fare il bagno con questo tempo” e se ne tornò al Bagno Nettuno a proseguire la sua partita a scala quaranta. I fratelli di Giulia ridendo commentarono: “Figurati se la balena affogava.”
Elena stremata si sdraiò a terra sulla sabbia ripetendo in continuazione: “Abbiamo rischiato di annegare in due”. Giulia si sedette accanto a lei. “Hai ragione. Però Nena io in mare mica ti ci lasciavo”. Poi si alzò e si guardò intorno. La Ludo non c’era. La sera passando davanti al muretto col suo ragazzo arrivato qualche ora prima da Milano, Ludovica ascoltò distratta il racconto concitato di Giulia e alla domanda esplicita di lei: “Ma non mi hai sentito urlare?’” rispose che non si era accorta di niente. Poi senza nemmeno guardarla in faccia proseguì la passeggiata verso il paese abbracciata al fidanzato. Giulia rimase di sasso.
Elena e Giulia sono ancora molto legate pur vivendo in due città diverse. Elena non ha avuto figli ma è stata la madrina di battesimo dell’unica figlia di Giulia. Quando hanno parlato del nome da mettere alla piccola, Elena ha suggerito sollevando le sopracciglia: “Una volta ti piaceva il nome Ludovica…”. Giulia è sbottata. “Nena ancora con questa storia dopo tanti anni”. Poi l’ha guardata con sospetto. “Mica vorrai che la chiami come te?” Elena ha risposto di getto: “Per carità di Dio, ancora non sono morta.” E Giulia: “Appunto, per chiamarla come te dovevi affogare quel giorno cara mia”. Si sono guardate e sono scoppiate a ridere.
“Caledonian Road” di Andrew O’Hagan – traduzione di Marco Drago (Bompiani)
Una storia senza innocenti o vincitori, ma solo persone ferite che riescono a farcela con quello che resta dopo un evento drammatico destinato a essere uno spartiacque nelle loro vite.