A un anno dalla pubblicazione di Olga Neri Pozza propone di Bernhard Schlink una raccolta di sette racconti, intitolata Bugie d’estate. Il filo conduttore di questa raccolta è la bugia, intesa non solo come negazione della verità ma anche e soprattutto come elusione, rimozione, camuffamento, come strategia di difesa nei confronti di una realtà difficile da accettare. I protagonisti di queste storie sembrano adottare queste strategie più per sopravvivere che per vivere veramente e ne esce il quadro di un’umanità intrappolata in se stessa, prigioniera delle proprie contraddizioni e delle proprie paure, un quadro di solitudine, di smarrimento, di relativismo etico nel quale è facile rispecchiarsi. A differenza dei libri precedenti, nei quali venivano affrontati i temi della colpa e della responsabilità individuale e collettiva inseriti in una dimensione storica, qui i personaggi devono fare i conti con le piccole e grandi sfide dei microcosmi nei quali si muovono ripiegarti su se stessi per non inciampare più che protesi verso grandi mete da raggiungere.
In Fine stagione Richard, un orchestrale tedesco che vive a New York, incontra sul finire dell’estate in una località balneare della East Coast una donna non bella ma affascinante, della quale si innamora. Tra passeggiate sulla spiaggia, piogge improvvise, notti nella bella villa di lei, i due si confidano e scoprono le loro rispettive solitudini segnate in lei dalla morte precoce di entrambi i genitori, dall’infanzia con una zia anaffettiva e dal fallimento del proprio matrimonio, in lui dalla frustrazione di non aver mai scelto veramente nella propria vita, a cominciare dalla propria professione, alla quale è stato predestinato fin da ragazzo dai genitori, entrambi musicisti. Lei, che è ricca e di gusti raffinati, manifesta una grande sicurezza di sé soprattutto nel riconoscere in lui l’uomo con cui costruire una famiglia, mentre lui, che vive perennemente con il conto corrente quasi in rosso, non riesce ad immaginarsi un futuro diverso dalla vita che sta conducendo. Tra i due nasce un amore intenso e travolgente che si consuma nella magica cornice, venata di malinconia, del mare di fine stagione, tra piogge e temporali improvvisi, passeggiate su spiagge deserte, fragranze di boschi bagnati, scrosci delle grandi onde dell’oceano, cene in ristoranti semivuoti con le verande chiuse da teli trasparenti. Alla fine della vacanza i due torneranno alle loro rispettive città: a Los Angeles lei dove farà i preparativi per trasferirsi con lui nel lussuoso appartamento di Manhattan che ha ereditato dal nonno, a New York lui dove dovrà affrontare il difficile distacco dal proprio microcosmo, quello di un quartiere periferico, povero ma ricco di vita genuina, popolato da vicini di casa rumorosi, da gang di ragazzi di strada, da anziani seduti sugli scalini di casa a prendere il fresco bevendo birra, da colleghi, stranieri come lui, coi quali farsi ogni settimana una cenetta al ristorante italiano, da immigrati centro-americani da cui imparare lo spagnolo, da una ragazza calorosa ed esuberante alla quale dare lezioni di flauto. Appena arrivato a casa resterà inchiodato sugli scalini davanti al portone, dibattuto tra l’affezione per quel microcosmo, del quale sente di far parte, e le suggestioni di una vita nuova all’insegna dell’amore, della famiglia e di un futuro agiato, nel quale però intravede la minaccia di una perdita d’identità, di quell’indefinibile identità scaturita dalle non scelte, da una marginalità accettata per difesa, da una sospensione indeterminata del tempo in attesa di una persuasione.
Il tema dell’inerzia, dell’incapacità di decidere, della rassegnazione ad una vita predestinata, in questo caso senza dubbi né ribellioni interiori, è anche quello del racconto Il viaggio verso sud, nel quale l’anziana protagonista si accorge di non amare più i propri familiari, pur essendo da loro trattata con impeccabile premura, e sceglie di simulare l’amore come simula l’olfatto che ha pure perso. Per lei l’amore è un dovere e fingerlo diventa una necessità quando questo svanisce. “L’amore non è questione di sentimento, ma di volontà”, le aveva detto sua madre quand’era bambina, e lei si era adeguata a questo precetto, almeno fino a quando aveva avuto la necessità di “trasformare il dovere in inclinazione e la responsabilità in amore”. Eppure questo amore “doveroso e responsabile” non l’aveva messa al riparo dalle infedeltà del marito e dal naufragio del loro matrimonio. In occasione della sua festa di compleanno lei si indigna per il muro d’omertà con cui i figli ed i nipoti, per un riguardo che lei ritiene ipocrita, circondano la figura della donna che il suo ex-marito ha sposato in seconde nozze. Ne consegue un malessere profondo che si trasforma in malattia. Nel dormiveglia febbrile affiora in lei il ricordo di un amore di gioventù. Una volta guarita chiede alla nipote, che l’aveva amorevolmente accudita durante la malattia, di accompagnarla in un viaggio verso sud, verso la cittadina universitaria dove aveva studiato e dove aveva vissuto quell’amore. Quel viaggio le farà scoprire, grazie all’intraprendenza e all’incalzante curiosità della nipote, verità che aveva sempre tenute nascoste pure a sé stessa e che aveva rimosso per paura, per inerzia, per conformismo, per dare un alibi alle proprie rinunce.
Nel racconto La casa nel bosco la menzogna, intesa più propriamente come strategia di occultamento, è il muro difensivo che il protagonista, scrittore fallito, erige a difesa della propria vita familiare, vissuta come territorio privato, idillico ed esclusivo, da tenere al riparo dalle insidie del mondo. Lui e la moglie, scrittrice di successo, decidono di lasciare New York per andare a vivere con la loro figlioletta Rita in una bella casa immersa nel bosco, dove lui si occuperà di Rita e delle faccende domestiche, mentre la moglie si dedicherà esclusivamente al libro che sta scrivendo, lontana dalle distrazioni mondane della metropoli. In cuor suo lui sogna un quadretto familiare più completo, con la moglie più presente, ma accetta di buon grado questa situazione, che ritiene provvisoria, pur di preservare quell’armonia domestica che nella propria infanzia, segnata da litigi, da violenze e dalla separazione dei genitori, gli era mancata. Al contrario, la moglie, cresciuta in un contesto alto-borghese, dominato dal mito calvinista del lavoro e della carriera, e refrattario ad ogni sentimentalismo, vive questo periodo di isolamento unicamente come una necessità per realizzare la propria opera. Ben presto la vita tranquilla nella casa del bosco viene minacciata dalla vita reale, allorché il protagonista viene a sapere di un importante premio letterario vinto dalla moglie. Sarà la scintilla che farà scattare in lui un morboso istinto di autoconservazione e che lo porterà a tessere una strategia difensiva dagli sviluppi imprevedibili e devastanti. In questo bellissimo racconto, nel quale una natura generosa e selvaggia con i suoi boschi, i suoi laghi, la sua pace e la sua solitudine profonda fa da sfondo alle drammatiche vicende umane, c’è tutta la struggente nostalgia per un’intimità domestica primordiale, per il nido, per il paradiso perduto, per un mondo ideale che viene inseguito in modo disperato, ostinato, infantile, a dispetto di ogni evidenza del mondo reale. Il protagonista vorrebbe riscattare il proprio sogno infantile distrutto anche a scapito della propria realizzazione personale di scrittore. Ma quel sogno è tutto suo. Lui mente alla moglie per impedire che il mondo la inghiotta e la sottragga a lui ma mente soprattutto a se stesso quando si impone di credere che la vita sia quell’esistenza da esiliati che costruisce come una prigione per sé e per la propria famiglia. L’aspetto più struggente della vicenda è la dedizione iperprotettiva e materna che ha per la figlia e la convinzione che questa dedizione lo possa mettere al riparo da ogni male. Moglie e figlia sono proprietà che rivendica in nome della propria dedizione assoluta ad esse. La menzogna sta tutta nella dimensione ideale che si è creato e che vuole imporre come verità assoluta alla propria famiglia.
Il tema della menzogna assume le tinte del giallo nel racconto Lo sconosciuto nella notte dove il narratore, durante un volo da New York a Francoforte si trova a fianco un uomo misterioso che gli confessa di essere sospettato della scomparsa della propria compagna, rapita e comprata da un diplomatico del Kuwait, e di essere in procinto di consegnarsi alla giustizia tedesca per sfuggire ai pedinamenti di un emissario di quel diplomatico. Il narratore subisce il fascino di quello strano compagno di viaggio fino al punto di manifestargli la propria solidarietà e di accettare tutte le sue richieste di aiuto, pur rendendosi conto dell’ambiguità dei fatti che gli vengono narrati. Il tema, più che quello della bugia, è quello dell’ambivalenza di ciò che viene raccontato. Ricevere dei soldi per ciò che ci è stato sottratto significa averlo venduto? Perdere una persona amata significa essersela fatta sfuggire? Civettare vuol dire sedurre? Negare soccorso ad una persona in rischio di vita vuol dire ucciderla?
Nel racconto Johann Sebastian Bach a Rügen il tema è quello dell’elusione. Un figlio, nella speranza di ricucire il rapporto col padre, lo convince ad andare in viaggio con lui nell’isola baltica di Rügen per assistere ad un festival dedicato a Bach, musicista che amano entrambi. Durante il viaggio però deve fare i conti con l’ostinato riserbo del padre, che, interrogato sulle sue aspirazioni giovanili, sulle sue scelte di vita, sui suoi rimpianti, risponde elusivamente, deviando continuamente il discorso su argomenti “neutri”, impersonali, ed assumendo un tono didattico. L’argomento dominante è la musica di Bach che il padre commenta in modo analitico e prolisso: “… il figlio fu sconcertato da quel fiume di parole che continuava a sgorgare incessante, senza che il padre si accertasse che le sue considerazioni trovassero una risonanza… Era come se stesse ascoltando un soliloquio.” Ciò nonostante trapelano a tratti alcuni aspetti del vissuto paterno: il suo bisogno di ordine e di tranquillità che lo aveva indotto a difendersi dai trambusti della vita, in particolare dal nazismo, con orgogliose rinunce piuttosto che con impulsive ribellioni, le sue aspirazioni di saggista (voleva scrivere un saggio sulla paura) e di pianista dilettante relegate vanamente all’età della pensione, la sua conversione religiosa da studente, poi banalizzata.
Bugie, nel senso più letterale del termine, sono quelle alle quali ricorre il protagonista de La notte a Baden-Baden per nascondere i suoi tradimenti e, paradossalmente, anche per simularli in un complesso labirinto di verità e di menzogne che alla fine lo costringerà a riflettere su ciò che tiene in vita l’amore e ciò che al contrario lo uccide. “Cosa succede se il realismo per un verso fa bene e per l’altro significa la morte dell’amore? Se senza la fede ingenua nell’altro l’amore non è possibile?”
Ne L’ultima estate un professore universitario in pensione, gravemente malato, cerca di rimediare alle mancanze nei confronti della sua famiglia, trascorrendo con essa un’ultima estate nella loro casa in riva al lago. Come aveva fatto altre volte, mette assieme con cura tutti gli ingredienti per la felicità per poi accorgersi che questo non è sufficiente per ottenerla. Le nuove attenzioni che dedicherà alla moglie, ai figli ed ai nipoti non avranno l’effetto desiderato perché saranno viziate da un’artificiosa intenzionalità. Tutto è pianificato nei minimi dettagli, anche la propria fine: un atto volontario, indolore, consumato durante una riunione di famiglia grazie ad un cocktail letale bevuto di nascosto. Qui la bugia si configura come finzione, come artificio, come estremo tranello seppure a fin di bene, come velleitario tentativo di controllare la perniciosa anarchia della vita. Sette storie, sette sfaccettature della bugia come disperata, intima difesa nei confronti della realtà, raccontate con una scrittura raffinata, elegante, puntuale, evocativa. Sullo sfondo le suggestioni dei paesaggi: dalle spiagge lambite dall’oceano della East-Coast, ai grandi boschi del Vermont, dai laghi circondati dalle Alpi del sud della Germania alle isole sabbiosa del Baltico. Al centro di tutto, però, gli acuti e profondi ritratti psicologici dei protagonisti, tutti imprigionati nelle loro menzogne, tutti disperatamente tesi a rammendare gli strappi dolorosi della vita, tutti profondamente umani nelle loro fragilità e nelle loro meschinità.
Foto: un particolare della copertina Bugie d’estate di Bernhard Schlink, Neri Pozza, 2019