Ogni mattina, in casa Pascoli, uno strano rituale segna il momento del risveglio. Prima di coricarsi Giovanni lega all’alluce di un piede una cordicella, collegata a sua volta all’alluce della sorella Maria che dorme nella stanza accanto. Il primo che si sveglia tira la cordicella, sollecitando l’altro a svegliarsi e a rispondere al segnale. La paura della morte, che aveva abitato così spesso quelle stanze, suggerisce questo piccolo espediente, quasi un giochetto infantile, per esorcizzare l’inevitabile. Il “nido”, come Pascoli chiama la sua casa, si è svuotato con una sequenza inesorabile di morti: dopo l’uccisione del padre, la sorella Margherita muore di tifo, seguita a ruota dalla madre e gli altri due fratelli. Restano Giovanni, Maria e Ida ma quest’ultima abbandona il “nido” per sposarsi, altro lutto che il poeta e la sorella non riescono a elaborare. La casa di Castelvecchio è piena di ombre: il padre assassinato (ritornava una rondine al tetto/l’uccisero, cadde tra spini), la madre che tesse in un angolo senza fare rumore (non t’hanno detto? non lo sai tu? io non son viva che nel tuo cuore!), anche la notte è senza luce (dov’era la luna? Che il cielo notava in un’alba di perla)… la cordicella sospesa tra le due stanze, quello strattone, l’attesa del segnale: Buongiorno Maria, buongiorno Giovanni.
Zio Alberto
Cosetta incontra inaspettatamente un lontano parente che aveva conosciuto solo nei racconti dei suoi familiari.