Parliamo con Francesco Lombardi della biografia di Nino Rota

"Un uomo che appariva nato per e dentro la musica come l'elemento - l’unico probabilmente - nel quale poteva vivere appieno".

Verrà presentata sabato 15 febbraio a Roma alle ore 16 un’interessante biografia di un gigante della musica italiana del ‘900. S’intitola Nino Rota – Storia del mago Doppio e della fata Giglia (Feltrinelli 2024) e l’ha scritta con cura certosina e stile sicuro il musicologo Francesco Lombardi. L’evento si tiene presso la Libreria Spazio Sette e interverranno, con l’autore, Emiliano Morreale e Michele Dall’Ongaro, un parterre de rois degno dell’opera e della musica di Nino Rota. E anche del lavoro davvero di gran livello e documentatissimo realizzato da Francesco Lombardi. Poiché conosco la passione e la competenza di Lombardi per la musica e soprattutto per quella di Rota, invito chi può ad andare a seguire la presentazione che rivelerà lati senza dubbio inediti o perlomeno meno conosciuti del musicista e dell’uomo Rota, i suoi contatti con i grandi registi, da Fellini a Visconti, da Coppola a Eduardo De Filippo… Io, intanto, faccio una chiacchierata con l’autore.

 

Francesco Lombardi, la prima domanda è la più banale, come nasce il sottotitolo Storia del mago Doppio e della fata Giglia?

Storia del mago Doppio e della fata Giglia è il titolo di una fiaba che Rota aveva scritto intorno ai 7 anni. Questa fiaba  era stata l’ispirazione per comporre successivamente una musica destinata ad accompagnarla. Il Maestro ricordava questa come la sua prima composizione. Nel fare l’editing del titolo ci siamo resi conto che per il bambino prodigio Doppio non era solo la caratteristica del mago con due corpi, quattro braccia etc. ma era scritto maiuscolo in quanto nome proprio di questa singolare creatura al pari della fata Giglia.

 

Musicista di livello altissimo, con centinaia di composizioni “colte”, pare ricordato soprattutto per le musiche da film, credi che lo spazio di Nino Rota nel panorama della musica contemporanea sia quello adeguato, oppure pensi che meriterebbe una considerazione diversa?

La musica è per se stessa un’arte fragile, ha bisogno di essere eseguita per potersi manifestare pienamente e neanche l’era della riproducibilità tecnica e quella che oggi chiamiamo musica liquida sono sufficienti ad affrancarla definitivamente da questa condizione. Questo vale soprattutto per le composizioni cosiddette colte che possono vivere appieno nel momento in cui sono eseguite da musicisti in carne e ossa di fronte a un pubblico. Detto questo, e sottolineato come lo stesso Rota non volesse fare distinzioni fra le sue cose leggere e i brani o le opere nati per il teatro e la sala da concerto, possiamo dire che Rota è un autore abbastanza eseguito in tutto il mondo e che forse il deficit vero è fra la figura di Rota e le sue composizioni. Le sue musiche per il cinema sono universalmente conosciute, può capitare di sentirle da un musicista di strada come da una grande orchestra sinfonica, il nome del suo autore è invece assai meno conosciuto. Rota era un uomo elusivo, un artista che tendeva ad annullarsi nella propria opera.

 

Si può evitare di parlare di Fellini? Non credo. La loro ispirazione, secondo te, era reciproca? Le loro opere comuni (film e colonna sonora) dovevano tanto all’uno quanto all’altro?

Non si può. Non foss’altro perché – a spararle grosse – una collaborazione artistica del genere non si vedeva dai tempi di Mozart-Da Ponte! E per rimanere su questo terreno da bar, entrambi erano capaci di dare il meglio insieme in una sorta di centrifuga creativa che ha pochi eguali nella storia dell’arte.

 

E poi c’è Visconti, da Senso al Gattopardo, in questo caso si trattava di musiche ispirate dalle immagini del film?

La collaborazione con Visconti si è svolta su binari molto tradizionali sia nei termini del rapporto fra regista e compositore che nel ruolo assegnato alla musica all’interno di ogni progetto. Raggiunge però esiti altissimi ne Il Gattopardo dove, al di là della tanto discussa e decantata trasposizione del famoso romanzo sullo schermo, l’ambizione di fare un film epopea, un Via col vento in salsa mediterranea, si regge in buona parte sulla musica di Rota che riesce ad amplificare la drammaturgia e ad accompagnarla anche nei momenti più rischiosi per l’attenzione del pubblico, sottoposto a una durata inusuale della pellicola.

 

E il rapporto con gli altri registi? Come faceva a convincere i migliori? Rota ha scritto musica per decine e decine di film, perfino troppi?

Rota si è trovato dentro l’ingranaggio della committenza cinematografica nel momento del massimo sviluppo commerciale del cinema italiano. Dentro questo sistema ci si sono trovati numerosi intellettuali e artisti dell’epoca. Di Rota è stato chiaro fin dall’inizio che il suo intervento poteva risollevare le sorti di film zoppicanti dal punto di vista produttivo e artistico e quindi è diventato subito richiestissimo. Era capace di farsi concavo e convesso in queste situazioni diciamo così più commerciali per accontentare la committenza. Diverso è il discorso quando si doveva confrontare con artisti di grande spessore come per esempio con René Clément, con cui ha fatto due pellicole: una travagliatissima La diga sul pacifico nella quale la musica è a dir poco imbarazzante, l’altra Plein soleil che contiene invece alcune delle sue cose più felici.

 

Continuiamo cercando di non farci sommergere dal risaputo, ma tant’è… chi è per te Nino Rota?

Un compositore italiano significativo del XX secolo e un civil servant del suo paese per il ruolo svolto al Conservatorio di Bari.

 

Il tuo testo è davvero ricco di sorprese biografiche, documenti, c’è anche un ricco apparato, per quanto possa esserci in un testo comunque rivolto al grande pubblico. Quanto tempo hai impiegato per scriverlo?

Francamente non saprei dirlo, dovevo/potevo farlo da una quindicina d’anni con appunti sparsi e raccolta di lavori precedenti, poi per mettere giù il testo che è andato all’editing finale sono passati 2/3 anni.

 

Scrivendo questo libro ti è sembrato di aver colto completamente la figura di Rota oppure qualcosa è rimasto sfuggente?

Come ho detto prima, Rota era un uomo per sua stessa natura elusivo quindi – sicuramente – più di qualcosa sarà rimasto fuori.

 

Nel raccontare la sua vita hai cercato di mantenere un livello di obbiettività oppure la grandezza del personaggio ti ha portato totalmente dalla sua parte?

Il primo pericolo quando si prova a raccontare la vita di qualcuno è quello di finire di parlare di sé stessi per traslato, qui ce n’era uno in più perché Rota era un mio lontano parente. Ho cercato – anche battagliando con l’editore – di usare il più possibile documenti (lettere, diari, recensioni) per mantenere un equilibrio a costo di rendere a volte il testo frammentario. Che ci sia riuscito o meno, non sta a me dirlo.

 

C’è una cosa che mi colpisce, mi pare – a parte quello che scrivi nel libro – che esista una tradizione “rotiana” nella musica e nella cultura di oggi e forse i film dei grandi autori con cui ha collaborato potrebbero essere invecchiati più delle sue musiche. In fondo, non credo che tanti possano vedere facilmente questi loro capolavori, ma magari più o meno tutti abbiamo ascoltato la musica di Amarcord, di , del Padrino. È un’iperbole, la mia?

Sì, credo sia un’iperbole. Rota non ha mai voluto essere il caposcuola di niente e diciamo che il gesto più eroico della sua parabola artistica è stato quello di credere nella necessità di preservare una continuità della memoria in quanto pensava che la creazione di un’opera non potesse sussistere ex abrupto sulla base di un progetto sterilizzato da tutti quei cascami che si ritenevano responsabili delle grandi tragedie novecentesche. Ma questa è stata una posizione solitaria, intimamente legata alla natura di un uomo che appariva nato per e dentro la musica come  l’elemento – l’unico probabilmente – nel quale poteva vivere appieno.

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Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

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