Parliamo del romanzo “Rosso Danubio” con Ruxandra Dragoescu

"Ho scelto un eroe collettivo. Ho una mia ossessione: capire, nella vita, come la Grande Storia assorbe la Piccola Storia, come vengono schiacciate le persone comuni dalle decisioni dei pochi".

Ci sono degli autori che si presentano alla Scuola Genius con le idee molto chiare, altri invece che vanno cercando la loro strada. Ci sono scrittori che seguono le mode del momento e altri che si presentano con idee personali e ben definite negli intenti, che aspettano solo di trovare una forma. È il caso di Ruxandra Dragoescu e del suo Rosso Danubio (Bertoni 2024). Ho incontrato Ruxandra a una nostra full immersion di scrittura a Montalto Di Castro e mi ha colpito subito per la forza della storia che voleva raccontare e per la qualità che cercava nella sua scrittura. Cosa che a molti sembrerà ovvia, ma non sempre lo è, soprattutto per chi, come Dragoescu, scrive in una lingua non sua. L’autrice rumena voleva narrare una vicenda di ribellione e lotta per la libertà, che si svolge in due periodi, l’epoca della dittatura di Ceausescu e quella immediatamente successiva alla sua caduta. Una parte di storia molto vicina a noi, anche geograficamente (la Romania è nell’Unione Europea e italiani e rumeni hanno radici storiche comuni). Il tutto raccontato attraverso le vicende di un gruppo particolare di sovversivi acrobati, indirizzati dalla vecchia signora Maria. Ora, dopo molto lavoro e tanta cura, il romanzo è uscito ed è arrivato il momento, quindi, di fare una conversazione d’autore con Ruxandra Dragoescu.

 

Quanto tempo ci hai messo per pensare e realizzare questo libro?

Un anno per scriverlo, uno per correggerlo. Uno per cercare la casa editrice, uno per pubblicarlo. La scrittura è un processo lungo, che richiede tanta pazienza e tanto lavoro, è un lavoro certosino.

 

Perché hai scelto la forma romanzo invece di scrivere un saggio storico sulla realtà rumena?

Questa domanda è difficile, Paolo. Mi sono laureata in scienze politiche a Bucarest nel 2002. I miei professori erano e sono personaggi importanti del passato (come l’ex primo ministro della Romania negli anni ’90, Petre Roman – coinvolto nei fatti della “Golaniada” di cui parlo nel libro, colui che ha chiesto alla stenografa di non battere a macchina la seduta prima dello smantellamento della piazza dell’Università. Fare l’esame con lui, allo stesso tavolo, guardarlo negli occhi e ricordarmi ancora com’ero vestita, una gonna attillata in jeans, un paio di sandali viola modello antica Roma e una camicetta nera, vedi, sono ricordi che non si sono sbiaditi dopo decenni. Poi, gli altri: Cristian Pârvulescu, Renate Weber e Aurora Liiceanu, che mi avevano insegnato che la rivoluzione era stata un colpo di Stato, non una rivoluzione). Ho scelto questa forma per due ragioni: la prima, scrivere un saggio vuole dire vivere in Romania e avere accesso ai documenti storici. Richiede molta precisione e poca creatività. La seconda, volevo dare la mia interpretazione: come diceva Cioran, l’università corrompe gli spiriti dei giovani, appiattisce il loro modo di pensare. Ho voluto pensare da sola, darmi da sola le risposte.

 

Il romanzo è scritto in italiano, sarebbe stato diverso se tu l’avessi scritto in romeno?

Sì, assolutamente. Molte spiegazioni sarebbero mancate, anche se mia madre dice che i giovani non sanno più com’era. Avrei dato molta più enfasi all’azione e al pensiero dei personaggi.

 

Ci sono due parti in questa storia, prima e dopo il regime socialista, secondo te i due periodi si somigliano più di quello che sembra?

C’è una linea sottile che collega i due periodi, di sicuro il periodo attuale è molto lontano da questi due. Di sicuro gli anni 2000 sono più vicini al periodo post socialista, e molto diversi da quello di adesso.

 

Chi sono i protagonisti di queste vicende?

Ho scelto un eroe collettivo. Ho una mia ossessione: capire, nella vita, come la Grande Storia assorbe la Piccola Storia, come vengono schiacciate le persone comuni dalle decisioni dei pochi.

 

La figura degli acrobati nella storia è inventata o ispirata a figure reali?

È inventata. Quando ero piccola, avevo un giocattolo preferito: un acrobata su filo. Lo trovavo bellissimo. Nelle mie mani si muoveva, faceva i salti. La mia manipolazione nei suoi confronti, ciò che gli facevo fare mi affascinava, lo contemplavo per ore. A mia nonna non piaceva e lo fa fatto sparire. Non ho pianto ma non l’ho mai dimenticato.

 

C’è qualche personaggio che ritieni più tuo? Al quale pensi di somigliare più degli altri?

Ho preso dei tratti da molte persone che conosco, italiane e romene. Ho fatto delle caricature di alcune tipologie romene come le belle donne tipo Lucia (ho conosciute le modelle romene, donne di ghiaccio dai fisici statuari, per una di loro Giorgio Armani ha fatto interrompere una sfilata per cercare la sua fede Bulgari e ho conosciuto anche i ricchi rozzi come Stănescu). Maria ha un po’ di me e un po’ di mia nonna. Però un amico che ha letto il libro ha notato una mia somiglianza con Monica. Non le assomiglio fisicamente e non ho avuto la sua storia, ma lei si avvicina più di tutti a me, sì, all’età sua ero come lei: una ragazza piena di speranze e illusioni, alla quale la vita vera insegna le sconfitte.

 

Quali sono state le reazioni dei lettori? Sono state diverse tra gli italiani e i romeni?

Mi credi che ancora non è stato letto dai romeni? Una mia amica scrittrice lo ha avuto ma non so se l’abbia letto. Lo hanno letto soltanto gli italiani, alcuni sanno molto sulla Romania e lo hanno letto in un certo modo, quelli che non sanno niente lo hanno recepito diversamente. Desidero regalare il libro a Dan Lungu, a Florin Iaru, autori romeni molto importanti, che conosco.

 

In che modo frequentare i laboratori della Scuola Genius ti ha aiutata nella scrittura di “Rosso Danubio”?

Moltissimo, innanzitutto mi hanno aiutato a decidere di fare pace con una parte di me. Con un passato che mi perseguita perché sono nata con delle aspettative molto alte: avrei dovuto prendere il dottorato in scienze politiche e lavorare in diplomazia, mio padre voleva che io diventassi ambasciatore. Lui si è ammalato e la mia strada ha preso un’altra piega.

 

Stai lavorando a qualche altra opera in questo periodo? È sempre ambientata in Romania?

Sì, sto scrivendo, non più sulla Romania. Sono maturata e la mia visione è cambiata, mi ritengo europea, non è più un governo a ordinare la mia vita, c’è una dimensione transnazionale che si sovrappone. Ho scelto un altro stile, una focalizzazione interna, una prima epistolare: inventerò una storia che voglia spiegare la mia visione sulla vita nell’Ue (una gabbia dorata, ma sempre una gabbia). Ragionerò su ciò che non va e su ciò che temo, sui limiti che ha la democrazia. C’è sempre il rischio che dalle masse venga fuori un tiranno. Che per me potrebbe essere rappresentato anche dalla burocrazia e da alcuni gruppi di interesse, e dalla corsa per raggiungere la Cina e gli Stati Uniti nello sviluppo dell’ IA.

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Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

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