Persi negli ingranaggi di un mondo impegnato a creare bolle di conforto, che poi esplodono rivelando la loro fallacia, esistono persone lasciate indietro, disperate, con la loro fragilità, alcolismo, dipendenza da sostanze, ossessioni, solitudini zoppicanti e perfette, nitide nel creare isolamento e angoscia. Sono così i protagonisti di queste micronarrazioni, persi in questo mondo dall’aria rarefatta, e che trovano ricchezza nello sfruttare proprio le falle del sistema, riuscendo, in qualche occasione, a trarre beneficio dall’invisibilità.
C’è una moglie che riesce a sbarazzarsi dell’ex marito e del compagno noioso e asfissiante nello stesso giorno, c’è un ragazzo che si rinchiude in camera e non esce mai, ma nel chiuso della sua camera scopre un metodo matematico per investire e diventare ricco, c’è una ragazza che sta morendo di cancro e non le importa che il marito, incapace di prestare assistenza al suo corpo in disfacimento, vada a fare sesso compulsivo con altre, compiaciuto e insolente, perché ha una relazione con l’assistente dell’hospice e vorrà lui accanto negli ultimi momenti.
C’è una mamma amorevole e affettuosa che, nell’esaurimento routinario, ha dimenticato di portare la figlia all’asilo e ha rischiato che la bambina morisse asfissiata in macchina.
Ci sono molti giovani sociopatici disturbati e disturbanti, le loro faccette compunte di adolescenti brillanti che covano desideri di cui non avvertono l’eversività, come incendiare macchine nel modo violento della criminalità organizzata. Ci sono accumulatrici seriali sovrappeso e con disturbi dell’apprendimento non diagnosticato. Ci sono alcolisti destinati a creare una catena di solidarietà tra persone ai margini. C’è una drag queen, che viene ingiustamente perquisita in aeroporto, su segnalazione di una vicina di posto omofoba, e si vendica, e poi racconta del momento magico in cui da Erik è diventata Trashe Blanche, approdando alla sua vera identità.
Tutti i personaggi hanno dei legami gli uni con gli altri e le altre. Vediamo spesso la storia raccontata da più voci, ogni identità definita e unica.
In una versione XXI secolo, Coupland racconta la sua Spoon River in 60 microracconti, brevi flash sufficienti a caratterizzare la storia personale e quella del mondo devastato, corrotto e allo sbando, la cui pericolosità viene percepita talvolta come un pericolo da fuggire o da affrontare e distruggere.
Chi siamo davvero noi, dov’è la nostra essenza unica, quella non protetta dalle sovrastrutture e che emerge e caratterizza il nostro vivere? Possiamo definirci buoni quando non abbiamo mai subito perdite e siamo stati sempre al riparo?
Le risposte spettano al lettore, che trova, ovunque in queste pagine, pezzi acuminati di schegge o barlumi di speranza, lacrime condivise dopo un lungo peregrinare, quando all’improvviso una mano ti tocca nel buio e in quel contatto fuggevole, momentaneo, senti che non sei giudicato, ma accettato.
“Se esistesse un peccato nuovo, quale sarebbe? Ghostare qualcuno dopo un paio di appuntamenti andati male? Trollare? Magari lo abbiamo già inventato un peccato nuovo e neanche ce ne siamo accorti – qualcosa che facciamo con i nostri corpi e Internet? Cioè, ogni volta che sono online ho la sensazione che ci sia qualcosa di immorale più o meno ovunque. Ce l’abbiamo tutti. Forse le nostre cronologie delle ricerche sono l’ottavo peccato capitale. Pensateci. Il discorso fila”.