Parliamo del romanzo “Io sono Nannarella. Intrigo a Firenze” con Carla Cucchiarelli

"Credo fortemente nella solidarietà tra donne, credo sia possibile ed indispensabile, a partire dalle piccole cose quotidiane, come aiutarsi a prendere i bambini a scuola (per esempio) agli eventi più importanti, nel lavoro o nella vita quotidiana".

Un problema molto difficile da risolvere per un narratore è come parlare di argomenti che stanno – come si usa dire – sulla bocca di tutti, cioè non solo della cronaca, ma anche delle persone comuni, dei linguaggi da bar, ma anche da aule di tribunale, da consessi più vari, insomma, senza risultare banale o scontato. Carla Cucchiarelli ha scelto di parlare della violenza di genere, della violenza sulle donne, della violenza domestica, in un romanzo che mescola la realtà più cruda con l’introduzione di un elemento lievemente surreale: Io sono Nannarella. Intrigo a Firenze (Viola editrice 2023). Cucchiarelli, che è una giornalista della testata giornalistica regionale della Rai, con diverse pubblicazioni alle spalle, si è occupata in passato di temi simili con la lente della cronaca; ora lo fa con quella della narrazione di fantasia, con un risultato che ha riscosso attenzione e curiosità (oltre che qualche lusinghiero riconoscimento pubblico). E poi, al centro della scena compare lei, Nannarella, una donna che ricorda la grande attrice romana, Anna Magnani. Quasi un’icona della lotta femminile per l’autodeterminazione contro la violenza di genere (e non solo).

 

All’inizio di tutto scrivi una dedica molto forte: “Alle donne che non ce l’hanno fatta”, cosa vuol dire?

Il libro racconta, con un espediente letterario, la storia di una vittima di stalking e propone una soluzione che, nella vita reale, probabilmente non sarebbe possibile.
Sappiamo tutti quante donne muoiono uccise da ex o da uomini che hanno respinto. Mi sembrava giusto rendere loro omaggio, perché – purtroppo – le vie di fuga non sono così facili come quelle che nascono dalla fantasia.

 

La storia è osservata da Anka, una donna polacca a Firenze che sa poco del mondo che gira intorno al nosocomio in cui lavora. Perché questa scelta?

Ho immaginato Anka come una specie di alter ego della protagonista, ingenua e inesperta, ma allo stesso tempo capace di una forte empatia. Serviva qualcuno che potesse sentire, senza troppe sovrastrutture o pregiudizi, il pericolo e mettersi a disposizione della protagonista. Doveva essere una persona che non aveva mai sentito parlare di Anna Magnani, che non ne conosceva la storia e che, in qualche modo, credeva al racconto della donna ricoverata in ospedale, la paziente romana.

 

Un personaggio importante è anche Francesco, il dottore.

Francesco, il dottore, è una persona che mette tutte le sue energie e il suo cuore a disposizione dei pazienti. Ha un passato, un dolore che si porta dentro e che gli permette di riconoscere il dolore altrui. Grazie all’incontro con Silvia, la protagonista, riuscirà a superare quel vuoto interiore e a fare pace con la vita. A lei donerà la consapevolezza che non tutti gli uomini sono nemici, possono essere anche alleati.

 

Nell’ospedale arriva a un certo punto una donna che dice di essere Nannarella, cioè Anna Magnani. Cosa rappresenta nella storia questa attrice morta da oltre quaranta anni?

Anna Magnani è un simbolo molto forte, una guerriera, una donna che, pur delusa dalla vita e dagli eventi, non smette di lottare. Il libro vuole essere un omaggio alla sua grandezza come interprete e come modello da imitare, per Silvia diventa una maschera dietro alla quale trincerarsi, la salvezza. La somiglianza fisica, la sua straordinaria memoria le offrono questa possibilità, alla quale si aggrappa quasi fosse un salvagente. E Anna la aiuterà.

 

“Nannarella, Nannarella, quanto è dolce questo nome? Sembra una ninna nanna, me lo ripetevo la notte, quasi fosse un mantra, prima di addormentarmi mi cullavo con il suo diminutivo”, scrivi a un certo punto. Per te, cosa significa Nannarella?

Io amo Nannarella: trovo sia stata un’interprete eccezionale, un volto e un’energia che, in qualche modo, rappresentano la capacità delle donne di amare e di lottare intensamente. Penso a pellicole come Bellissima o al monologo La voce umana. Per dirla con Giuseppe Ungaretti: “T’ho sentita gridare Francesco dietro il camion dei tedeschi e da allora non ti ho più dimenticata”. Il film era Roma, città aperta.

 

Si parla di violenza sulle donne, Giovanni è un uomo iracondo a cui “prudono le mani”.

Sono troppi, la cronaca di questi tempi ce lo racconta tristemente, gli uomini come Giovanni a cui “prudono le mani”. Sembrano non rassegnarsi al fatto che si trovano davanti a donne che non sono più angeli del focolare, ma persone in grado di decidere della propria vita. E, nel tentativo di non perdere il potere, dimenticano l’umanità. Giovanni li racconta tutti, a modo suo.

 

C’è molta solidarietà tra donne in questa storia, oggi è un tema tornato d’attualità, tu ci credi molto?

Sì! Credo fortemente nella solidarietà tra donne, credo sia possibile e indispensabile, a partire dalle piccole cose quotidiane, come aiutarsi a prendere i bambini a scuola (per esempio) agli eventi più importanti, nel lavoro o nella vita quotidiana. Anka è fondamentale per Silvia, la sua solidarietà che non chiede nulla in cambio la aiuterà moltissimo.

 

Come ti è venuto in mente di scrivere la vicenda di questa donna?

L’idea mi è nata, curiosamente, leggendo la notizia di una donna straniera che, trovata senza documenti e leggermente ubriaca in una stazione ferroviaria, aveva detto di essere Julia Roberts. Ho iniziato a fantasticare su di lei e mi sono chiesta perché una persona voleva fingersi un’attrice importante, a cosa stava cercando di fuggire e quale potesse essere, per una donna italiana, un’interprete di riferimento. Per una romana doveva essere per forza Anna Magnani!

 

È stato difficile narrarla?

Direi di sì, in certi momenti ho pensato che la vicenda fosse troppo surreale, in altri ho faticato a trovare le parole, ma la storia era dentro di me, chiarissima, per questo non ho smesso di scrivere. Anche perché, e qui torniamo “alle donne che non ce l’hanno fatta”, ogni volta che leggo o mi devo occupare per lavoro di femminicidi, (sono una giornalista) sento una profonda rabbia. Penso che la letteratura, il cinema, l’arte nelle sue mille sfaccettature possano aiutare a creare una consapevolezza diversa, una comprensione più profonda degli eventi. Come vive una donna perseguitata da un matto che minaccia di ucciderla? Quanto dolore deve sopportare? Nannarella grida la sua disperazione, qualcuno capirà.

 

La scuola Genius ti ha aiutata in qualche modo a percorrere il tuo cammino nella scrittura del romanzo?

La scuola Genius mi ha aiutata senz’altro: ho iniziato i miei primi capitoli seguendo il corso per scrivere un romanzo, ho seguito le lezioni e fatto diligentemente gli esercizi, imparando a tratteggiare i personaggi e le vicende. E a riscriverle, volta per volta. Cercando la mia voce. Grazie… ma so che ho ancora tanto da imparare…

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Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

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