L’estate scorsa la passai a Roma. Mio marito volle andarci a tutti i costi. Non che non mi piacesse, ma avrei preferito un posto dove poter prendere un po’ di sole. Comunque, a Roma c’era un’amica di vecchia data, e non appena le telefonai per dirle che sarei scesa, lei smosse i suoi contatti per trovarci un appartamento a un buon prezzo. Fortunatamente a mio marito stava bene.
Io e Anna Magnani avevamo lo stesso sogno: diventare attrici. Lei ci riuscì e io no. Ma una speranza di farcela ce l’avevo ancora.
Tuttavia, il secondo giorno di vacanza ero intenzionata a invitare Anna a cena. Sarei stata contenta di rivederla. Almeno, avrei sognato un po’ a occhi aperti. Ma mio marito obiettò.
Ne era già infastidito. Lui non poteva sentire parlare di attori che cominciava a sputare veleno. Riteneva che fosse un mondo marcio, un terreno da bruciare. Ma, con la promessa che andasse via presto, gli feci giurare di non perdere la pazienza.
Avevo preparato lo sformato di patate. Lei ne andava matta. Il campanello suonò. Mio marito guardava indisturbato il tg. Andai ad aprire la porta. Vidi Anna spalancare la bocca in un sorriso di cherubino. Diamine! In apparenza era la stessa di sempre, ma dopo un’istante notai quanto fosse diventata più bella, più donna. Ci abbracciammo. Aveva portato una bottiglia di vino rosso pregiato. Senza smettere di parlare, la presentai a mio marito. Poi li feci accomodare a tavola.
Riempii i loro piatti per primi e il mio per ultimo. Mio marito fece la preghiera e poi cominciammo a mangiare. Ascoltai la mia amica raccontare i suoi ultimi lavori, e ogni tanto sognavo di essere al suo posto. Lei mi domandò dei miei figli, ma non avevo grandi notizie su di loro; poi mi chiese se mi ero abituata al freddo di Torino, le risposi che ormai faceva parte di me. Quando mi chiese se avessi mantenuto parola alla mia promessa di intraprendere la scuola di recitazione, mi venne da svenire.
– Recitazione? Quale recitazione? – Sgranai gli occhi. Mio marito mi lanciò un’occhiataccia furente. A momenti mi aspettavo di vederlo scoppiare.
Poi mi alzai da tavola con la scusa di prendere il dessert. Anna mi seguì e si poggiò sul dorso della porta.
– Non sapevo che avessi dei problemi. – Mi disse.
– Non è colpa tua.
– È un peccato. Eri così brava. – Disse riflettendo. – Ma ti ricordi come interpretavi bene Angelica di Molière?
– Ero una ragazzina. – Le dissi prendendo dal frigo le paste con la crema.
– Una ragazzina in gamba per quanto mi riguarda.
– Appunto. Ora guardami. Non mi prenderebbero nemmeno per una controfigura.
Nonostante la stessa età, apparivo molto più vecchia di lei.
– Vittò, ho un grosso progetto tra le mani. – Disse.
– Lo sai che non posso. – Osai immaginare cosa avrei potuto patire se mio marito lo avesse scoperto. Ebbi i brividi lungo la schiena.
– Ma dai, Vittoria! Io le interpreto, le donne come te. Me le porto dentro tutti i giorni, e vederti così, me fa piagne il cuore. Tu dovresti vivere una vita piena, dovresti lottà e riprenderti quello che ti spetta.
Rimasi in silenzio.
– Comunque, se vuoi ci parlo io con tuo marito.
– Annarè, ho detto di no.
– Fammi un favore. – Scrisse l’indirizzo di un teatro su un tovagliolo. – Vieni domani. Solo a guardà.
Dopo che Anna se n’era andata, mio marito mi strattonò per i capelli pretendendo di sapere di cosa stesse parlando la mia amica. Gli dissi la verità: da bambine giocavamo a recitare.
– Guai a te se la rivedi. – Urlò. – Quella è una delinquente! – Disse fuoribondo.
Nonostante ciò, la proposta di Anna prese vita dentro di me. Fu come tornare bambina, con le ginocchia sbucciate e le farfalle nello stomaco. Sarei potuta andare e tornare senza che mio marito se ne accorgesse. Sapevo che, se non ci fossi andata, me ne sarei pentita a vita. E non volevo un altro risentimento.
Così il mattino dopo, uscii di casa con una scusa e giunsi all’indirizzo. Quando entrai nel teatro vidi Anna sul palco a recitare. Era proprio brava. Sembrava tutto vero. Come parlava, come si muoveva, come reagiva con gli altri. Sedevo su una poltrona in fondo e sognai a occhi aperti la trasformazione di Anna in me: eccomi. Ero sul palco. Stavo recitando. A piedi nudi. Recitavo davvero, con le luci addosso, nei panni di un’altra. Ed ecco che la finzione diventava realtà.
Diventava immortale. Improvvisavo ogni battuta, ogni scena. Avvertivo il rintocco del pubblico. Il mio amato pubblico, che aspettava soltanto la fine per acclamare il mio nome.
Raccoglievo di tutto. Fiori, applausi, baci. E poi prendevo la mano dei miei compagni. Attori con cui avevo condiviso gioie, dolori, fatica, quelli che avrei ricordato anni dopo come i migliori di sempre, e chissà, forse un giorno ne avrei sposato uno; uno che avrebbe voluto vedermi prendere il volo. Ma poi apro bene gli occhi. E non ero io a essere lì. Era lei. Era Anna al mio posto. E se solo avessi avuto una briciola della sua fortuna, della sua libertà o un pizzico della sua bellezza, quella con cui incantava uomini e donne – le avrei ricordato che sono anch’io una donna forte, una donna che sa quello che vuole, quello che la fa sentire viva, e ne avremmo parlato su un tavolo di qualche bar di via Veneto a bere caffè e a fumare sigarette come due grandi attrici del tempo. Ero ancora lì, seduta, con le lacrime agli occhi. Non sapevo dove più guardare. E con la vergogna nel cuore, mi alzai di scatto e me ne andai.
“Caledonian Road” di Andrew O’Hagan – traduzione di Marco Drago (Bompiani)
Una storia senza innocenti o vincitori, ma solo persone ferite che riescono a farcela con quello che resta dopo un evento drammatico destinato a essere uno spartiacque nelle loro vite.