Ian si svegliò per colpa di un colpo forte, seguito da un tonfo appena udibile. Poi, di nuovo il silenzio, come sempre nella residenza Broccoli, nella quale stava passando il suo sereno pensionamento.
Rimase immobile, sdraiato nel letto, al buio, con le orecchie tese per cercare di capire.
Niente. Nessun rumore. Accese la luce, si sedette sul letto, inforcò occhiali e pantofole, e si alzò cercando di ignorare le proteste della sua schiena. D’altra parte, già gli sembrava un miracolo essere arrivato a più di settant’anni quasi integro. Quasi, però.
Si trascinò fino alla soglia della stanza e appoggiò l’orecchio alla porta. Nessun rumore. Allora la socchiuse e sbirciò fuori. Il corridoio era buio e silenzioso, come tutte le notti.
Poi una luce, alla sua destra. Apparve il pensionato della stanza accanto: un tipo silenzioso, ma signorile, elegante: quel che si dice un bel vecchio. Nonostante l’andatura leggermente claudicante aveva spalle dritte, larghe come chi ha fatto molto sport in vita sua, forse un ex militare, con pochi candidi capelli e due occhi azzurri che, quando cercava di mettere a fuoco le cose, strizzava fino a farli diventare due fessure. Lo guardò e sussurrò:
– Che succede?
– Non ha sentito?
– Come?
Ian alzò la voce
– Dicevo, ha sentito il rumore, il colpo?
– No, no, non ho sentito niente…
Il vecchio rimase in silenzio e fissò il corridoio. Ian, che stava congelando nel freddo del corridoio, aprì la porta della stanza e disse:
– Venga dentro, che c’è corrente.
– Vede? C’è la porta sul giardino aperta. Chi può averla lasciata così?
– Vabbè, poi controlleremo, ma non restiamo qui che ci prendiamo un malanno.
– Sì, ma perché è aperta? Di solito la chiudono… Permette che mi presenti, il mio nome è…
– Lasci stare e venga dentro.
Insistette Ian.
Il vecchio, convinto dal corridoio gelido, uscì dalla propria stanza, appoggiandosi a un bastone nero con un pomello d’argento a forma di testa di giaguaro. Si trascinò fino alla stanza di Ian, entrò e chiuse la porta alle sue spalle. Arrivato davanti a Ian, gli tese la mano.
– Piacere, il mio nome è…
– Non fa niente le ho detto, me lo dirà dopo. Cerchiamo invece di capire che cosa potrebbe aver causato quel rumore.
Il vecchio si lasciò cadere pesantemente nell’unica poltrona della stanza.
– Non saprei. Però…
– Però cosa?
– Mi pare di ricordare che una volta ho sentito un rumore simile. Forse era Londra… Mi pare. O Mosca?
– Non mi sembrano città paragonabili…
Annuì con un lieve imbarazzo. Ma riprese:
– È che la mia memoria mi fa brutti scherzi. Sempre più spesso.
– Senta, la prenderebbe una tazza di tè? Magari lo correggiamo con un gocciolino di brandy.
– Oh, sì. Ma agitato, non mescolato.
– Cosa?
– No, niente… Non ricordo bene perché ma… mi viene spontaneo dire così.
Un nuovo rumore immobilizzò i due anziani, Ian con la tazza di tè in mano, l’altro seduto con le mani protese.
– Ha sentito? Senta, credo proprio che dovremmo andare a guardare.
Il pensionato si alzò con fatica, emettendo un sottile lamento appena udibile. Poi, insieme, uscirono nel corridoio e si diressero verso le scale. Sembrava che il rumore provenisse dal piano di sotto, dove c’erano cucina, infermeria, sala di pranzo e tutti gli altri locali comuni.
Scesero piano, un gradino per volta, illuminati a stento dalla luce notturna che filtrava dalle finestre, uno reggendosi al corrimano, l’altro appoggiandosi pesantemente al bastone.
Arrivati al pian terreno, una lucina flebile proveniva dall’infermeria. Si avvicinarono lentamente, nel silenzio profondo. Entrarono e per terra giaceva Maria, la donna che faceva le pulizie. Il vecchio lanciò un grido soffocato e come preso da raptus si inchinò sulla donna stesa.
– Miss Moneypenny!
– La conosce?
– Chi?
– La donna… la donna per terra. L’ha chiamata per nome!
– No, no… mi sono sbagliato… mi sembrava una che conoscevo tanto tempo fa.
Si abbassò di nuovo sulla donna, in silenzio, poggiando l’orecchio quasi sul volto di lei. Si rialzò.
– Bene, è solo svenuta.
– Eh, quello lo vedevo da solo: russa!
– Chi può essere stato?
– Che ne so… un fantasma?
– Non scherziamo con la Spectre!
– Con chi? Senta, se la smettesse di dire parole a caso…
– Sì, ha ragione, cerchiamo di capire cosa è successo…
– Sì, ma come? Siamo a mani nude!
– Vero. Qui ci vorrebbe M.
– Miracoli? Motivi?
– No, proprio M.
– Musica? Macchine? Maglioni?
– Lasci stare, non capirebbe: caviamocela da soli.
Diede un ultimo sguardo alla donna distesa, che ronfava sommessamente, poi si rialzò con uno scricchiolio sinistro.
– Guardi!
– Cosa?
– Mancano tutti i tranquillanti e gli ansiolitici.
– Oh mio dio, è un disastro! Se le immagina le signore del burraco del secondo piano?
– Non lo dica neanche per scherzo. Accadrebbe una rivoluzione!
Si guardò intorno e indicò con il bastone la porta di uscita dell’infermeria.
– Chiunque sia stato, deve essere uscito di lì.
– Come fa a dirlo?
– È l’unica uscita.
– Ah, sì, giusto.
Seguirono il corridoio fino a uscire nel giardino della residenza, illuminato da qualche lampada sparsa sul prato. Si guardarono intorno ma sembrava che non ci fosse molto da vedere, solo l’auto del direttore, una Aston Martin DB5 nera che scintillava alla luce della luna.
– Non c’è nessuno.
– Lo vedo.
– Ne approfitto per presentarmi. Il mio nome è…
– Ma lasci perdere, cosa vuole che importi ora.
Ian quasi non riuscì a finire la frase che un’ombra, fino ad allora nascosta dietro l’Aston Martin, uscì all’improvviso, correndo a perdifiato verso il cancello dell’uscita.
– Fermo!
Urlò Ian.
– Fermo!
Urlò il vecchio che però, dopo aver intimato l’alt allo sconosciuto, imbracciò il bastone come fosse un giavellotto, prese rapidamente la mira e lo scagliò verso la figura in movimento. Il bastone atterrò esattamente tra le gambe del fuggitivo, che ruzzolò goffamente sul selciato antistante la porta di ingresso.
I due vecchi, nonostante l’età, raggiunsero in pochi istanti il ladro che, in posizione fetale, si lamentava urlando “il ginocchio, il ginocchio”. Accanto a lui un bustone nero di plastica dal quale erano fuoriuscite fuori tutte le medicine sottratte all’infermeria. Lo rigirarono per vedere chi fosse e il vecchio esclamò:
– Ma è Julius!
– Chi?
– Julius, No?
– Non lo conosco…
– Lo conosco io, un furfante matricolato. Sicuramente aveva in mente di rivendersi le medicine rubate. Chiami il direttore, che qui ci penso io…
Dopo pochi minuti, una buona parte dei residenti era sveglio e circondava i due anziani che raccontavano la vicenda in tutti i particolari, veri e inventati che fossero. Poi, pian piano, tutti tornarono verso le rispettive camere. Arrivati in corridoio, il vecchio stese la mano verso Ian e disse:
– Beh, cerchiamo di riposare un po’, ora.
– Ha ragione.
– Visto quello che abbiamo passato insieme, mi permetta ora di presentarmi.
– Ma certo
– Il mio nome è…
– Sì?
– È…
– Dica, su!
– Cazzo, non me lo ricordo più.
Il vecchio abbassò il capo e guardò Ian un po’ deluso.
– Ma almeno il numero della sua stanza se lo ricorda?
– Sì, quello sì. È la 007.
“Caledonian Road” di Andrew O’Hagan – traduzione di Marco Drago (Bompiani)
Una storia senza innocenti o vincitori, ma solo persone ferite che riescono a farcela con quello che resta dopo un evento drammatico destinato a essere uno spartiacque nelle loro vite.