Lo strano caso del dottor Masi

Quel lunedì mattina il dottor Masi, il primario del Pronto Soccorso, si svegliò di pessimo umore.

Quel lunedì mattina il dottor Masi, il primario del Pronto Soccorso, si svegliò di pessimo umore. Aveva sognato suo padre Settimio, il custode della scuola elementare Pascoli, morto ormai da una decina di anni. Nel sogno Settimio, proprio come nella vita reale, stava sulla porta della scuola, con indosso il camice blu da bidello, in mezzo a uno stuolo di bambini pronti a entrare, tra cui anche suo figlio Marco. Quando suonava la campanella, però, Marco si ritrovava improvvisamente solo nell’atrio della Pascoli e, accorgendosi di essere in ritardo, correva verso la porta della sua classe, la seconda B. Trovando la porta chiusa, era costretto a bussare: gli apriva una maestra dal volto anziano e i lineamenti da strega che gli diceva che la classe si era trasferita altrove. Allora Marco tornava sui suoi passi per chiedere aiuto a suo padre, solo che gli si rivolgeva dandogli del lei.

“Ma non mi riconosci? Sono io, il babbo” Faceva Settimio.

“Lei si sbaglia, signor bidello” Insisteva Marco. A quel punto suo padre, che nella realtà era sempre stato un uomo mite, gli urlava contro: il suo volto si trasformava in un mascherone dalla bocca larga e gli orecchi grandi, come quelli che si vedono sui cornicioni di alcuni edifici del passato, mentre diceva:

“Ma che fai, ti vergogni di essere mio figlio? Fila subito dentro. La campanella sta suonando per la seconda volta!”

Il dottor Masi dallo spavento si svegliò urlando e si accorse che il rumore che sentiva nel sogno era il bip della sveglia che ripartiva in automatico ogni dieci minuti. Siccome era già in ritardo rispetto alla consueta tabella di marcia, si vestì di corsa indossando come al solito quello che la sera prima sua moglie Anna gli aveva preparato sulla poltrona di camera, perché era lei quella dotata di buon gusto tra i due, oltre che di un consistente patrimonio familiare.

“Questa camicia sarà anche della Ralph Lauren, ma mi sta corta. A meno che Anna non abbia sbagliato la taglia… è capace che era l’ultima rimasta e fissata com’è con le firme l’ha voluta comprare lo stesso”.

La sera prima lui e sua moglie avevano parlato della riunione che ci sarebbe stata il giorno dopo col nuovo Direttore Generale e Anna gli aveva consigliato di rinnovare la camicia con i pantaloni abbinati. “Così farai subito una buona impressione” gli aveva detto. Anche i pantaloni però gli tiravano sul cavallo e gli arrivavano sopra le caviglie, ma era troppo tardi per cambiarli.

“La sarta deve aver fatto l’orlo troppo corto, andrò alla riunione con la divisa e sopra il camice, tutto sommato è più professionale”.

Che non era vestito nel modo giusto se ne accorse subito Daniela, la segretaria, che di fronte al suo saluto confidenziale, rispose con freddezza, scrutandolo dalla testa ai piedi e quando lo vide infilare la chiave nella porta della sua stanza lo guardò addirittura con sospetto. Una volta dentro, come ogni mattina, il dottor Marco Masi si mise a controllare la lista dei pazienti presenti in Pronto Soccorso. Fu allora che sentì bussare alla porta. “Avanti” disse con una voce più bassa del solito. Oltre ai vestiti sbagliati quella mattina ci mancava anche la faringite.

Quando la porta si aprì, per poco non gli venne un infarto. Davanti alla scrivania vide un uomo identico a lui, un vero e proprio sosia, con indosso un paio di jeans sbiancicati che gli stavano larghi e una felpa stinta.

“Dottor Masi, ma come è possibile una cosa del genere?”

Anche la voce era identica alla sua, nasale e leggermente stridula. Una voce che sua moglie ogni tanto paragonava a quella di un ragazzino più che a quella di un uomo affermato.

“Ma… ma tu chi sei?” Chiese Marco Masi balbettando.

“Come chi sono? Il Bigelli. Scommetto che, lei dottore, non si è ancora guardato allo specchio”.

“In effetti no, stamani non ho sentito la sveglia e sono uscito di corsa”

“Allora lo faccia”, fece il sosia indicando la porta del bagno che comunicava direttamente con lo studio del primario.

Il dottor Masi si guardò nello specchio sopra il lavandino e si retrasse di scatto. Poi si avvicinò di nuovo e di nuovo si ritrasse, strabuzzando gli occhi. Quando si accostò per la terza volta rimase senza fiato: lo specchio non gli stava rimandando la sua immagine, ovvero il suo faccione tondo con gli occhi sporgenti sovrastati dalla testa pelata, ma la faccia appuntita del Bigelli, il barelliere del Pronto Soccorso, noto per le sue battute dissacranti oltre che per la poca voglia di lavorare. Il Bigelli con indosso una camicia della Ralph Lauren che gli sbucava dai pantaloni abbinati. Il dottor Masi sollevò la mano destra e si accarezzò la testa, facendo passare le dita tra i capelli sale e pepe della figura che vedeva riflessa nello specchio, ovvero tra la folta chioma del barelliere, che li portava lunghi fino alle spalle e qualche volta si faceva anche il codino. La sensazione piacevole di accarezzarsi i capelli, sensazione che il Masi non provava da almeno vent’anni, lasciò il posto alla paura perché la mano che aveva sollevato era la sua. Come era sua la bocca che ora mostrava i denti macchiati di nicotina, perché il Bigelli fumava parecchio, mentre il sorriso del dottor Masi, che si era fatto da poco la pulizia dei denti, era candido come la neve. Quando dietro di sé vide comparire il suo vero volto, il Masi ebbe una vertigine.

“Dottore, stamani quando mi sono guardato allo specchio come fa lei ora, per poco non mi prende un accidente. Meno male che mia figlia, che ogni tanto viene a dormire da me, non si era ancora alzata, sennò chiamava la polizia”.

“Ma come è possibile una cosa del genere?”

“Non ne ho la più pallida idea. So solo che io è da stamani che l’aspetto rinchiuso nel bagno dello spogliatoio. Lo sa che mi è successo appena sono sceso di macchina? Arriva uno nero come un tizzone e mi fa: ‘La mia mamma ha novant’anni ed è da due giorni su una barella del Pronto Soccorso. Si può sapere quando viene ricoverata?’ Io non sapevo che fare”.

“Ma come si chiama?”

“Fiorentina, Florentina, ma che ne so… insomma un nome da straniera”.

“Intanto potevi dirgli: Ora ci penso io”.

“E se dopo non c’è il posto letto?”

“Dopo vediamo, qualcosa ti inventi”.

Il Bigelli scosse la testa. In quel momento Daniela, la segretaria, bussò alla porta.

“Dottor Masi, la aspettano in Direzione, hanno appena chiamato” fece sorridendo. “Che look da ragazzino stamani…”

Il dottore sbiancò. “Oddio, non mi sento tanto bene”.

“Ma ora le passa” intervenne il Bigelli chiudendo la porta in faccia alla segretaria che lo guardò stupita. Poi proseguì:

“Per prima cosa ci scambiamo gli abiti, perché qualunque cosa sia successa te devi far finta di essere me. E non vorrai mica vorrai farti vedere dal Direttore Generale vestito come un barbone”.

“Sa, dottor Masi, io sono rimasto quello che frequentava i centri sociali” fece risentito il barelliere. “A differenza di altri…”, perché anche il Masi da giovane era stato un simpatizzante dell’estrema sinistra.

“Ti sembra questo il momento di parlare dei centri sociali? Ora stammi bene a sentire, te ti metti i miei vestiti, vai alla riunione, saluti tutti con educazione e ascolti quello che dicono. Ogni tanto annuisci, specie quando parla il Direttore Generale. Dopo torni qui, mi chiami e mi racconti quello che hanno detto. Hai capito bene?”

“Ho capito, ho capito”.

Quando uscirono dalla porta, Daniela si alzò dalla sua scrivania.

“Va tutto bene?” Chiese rivolta al primario, indirizzandogli uno sguardo di estrema confidenza.

“Certo”.

“Lei fa tardi alla riunione, dottore”. Disse il barelliere, fulminandolo con gli occhi e strattonandolo per un braccio. Il Bigelli era sempre stato un donnaiolo, si era separato per ben due volte e ci provava con tutte le neoassunte. Figuriamoci ora che si trovava nei panni del primario. Non che il dottor Masi fosse uno stinco di santo, ma la relazione con Daniela l’aveva sempre tenuta ben nascosta, perché la moglie era sempre la moglie. Che tra l’altro lo aveva anche aiutato parecchio nella sua carriera, essendo figlia di un pezzo grosso del mondo universitario.

I due si separarono appena usciti dall’ascensore. Il primario fece quello che gli era stato detto, e il barelliere andò in Pronto Soccorso e si mise al lavoro, o meglio a far finta di lavorare. Fu dopo un’ora che arrivarono le prime voci di corridoio.

“Pare che in Direzione si siano messi a urlare”.

“Ma chi?”

“Il dottor Masi e il Direttore Generale”.

Il Bigelli ogni tanto si fermava ad asciugarsi il sudore, non certo per la stanchezza o per il caldo, perché s’era a ottobre.

“Il dott. Masi ha sclerato, lo sai cosa gli ha detto? Te sei solo un politico di merda, e non te ne frega niente né dei malati né di noi che lavoriamo laggiù, nella fossa dei leoni”.

“Deve essere proprio impazzito, lui sempre così diplomatico”.

“Anche leccaculo direi”.

“Il Masi ha sempre pensato solo per sé, mica a noi poveri disgraziati, vero Bigelli?”

Ma il Bigelli, di solito tanto loquace quando si trattava di dir male dei potenti, aveva perso la parola. “Quel bastardo mi sta rovinando trent’anni di sacrifici, mi sta stroncando la carriera. E poi Anna che farà, quando lo verrà a sapere, lei che dice sempre ‘nella vita è tutta una questione di stile’.”

A un certo punto preso dalla disperazione il Bigelli abbandonò la shock room, nonostante fossero appena arrivati due codici rossi, e corse in Direzione.

“Sono io il vero dottor Masi, questo è solo un impostore”.

Qualcuno consigliò di chiamare lo psichiatra.

“Macché psichiatra, diglielo anche te, Bigelli”.

“Ha ragione lui, io sono il Bigelli, anche se sembro il dottor Masi”.

“Ma è un’epidemia” commentò la solita voce. “Di psichiatri qui ce ne vogliono due”.

A quel punto il Bigelli e il dottor Masi scapparono via, dirigendosi verso il Pronto Soccorso, dove avrebbero dimostrato davanti a tutti lo scambio. Davanti all’ingresso li fermò un ragazzo di colore.

“Possibile che ancora nessuno mi abbia dato notizie della mia mamma?” disse il ragazzo rivolgendosi al primario. “Glielo avevo chiesto già stamani mattina”.

“Ora abbiamo altro da fare” disse bruscamente il Bigelli.

“Ma povero Cristo” intervenne il dottor Masi.

“Andiamo, non perdiamo tempo con lui” continuò il barelliere.

Il ragazzo di colore lo prese per l’avambraccio.

“Stai attento, perché se Florentina Serao si arrabbia, ti fa una di quelle macumbe che te lo ricordi per tutta la vita”.

Il dottor Masi e il Bigelli si fissarono negli occhi: se quelli del primo erano difficili da decifrare, da uomo scaltro qual era sempre stato, quelli del Bigelli esprimevano chiaramente terrore. Comunque, da allora a Siena nessuno ha più avuto notizie né dell’uno né dell’altro.

 

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Michela Di Renzo

Michela Di Renzo è nata nel 1966 a Siena, dove vive e lavora come medico al pronto soccorso. Ha iniziato a scrivere nel 2011, come allieva sia dei corsi on line che delle full immersion della Scuola di Scrittura Omero, per poi approdare nel 2019 alla Scuola di Scrittura Genius. Nel 2019 ha partecipato al romanzo “Lasciano solo tracce leggere”, un’opera di scrittura collettiva della Scuola Aresteatro di Siena. Nel 2020 ha pubblicato la sua prima raccolta di racconti “I giorni del Palio” presso la casa editrice Betti. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati sulla rivista on line “Succedeoggi”.

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