Umanità in difficoltà, nella sua accezione più potente, ferita e arresa, o semplicemente imprigionata dentro le catene di rapporti di coppia forzati, nei sogni dei genitori che si vedono nonni e non si chiedono se il figlio sia davvero felice con la ragazza, una relazione incestuosa che spinge la sorella a cercare sfogo in uomini già impegnati e che non avanzeranno pretese su di lei e sul suo cuore sul quale campeggia un gigantesco divieto d’accesso, figli feriti dall’incomprensione con i genitori e dal senso di perdita incolmabile che li assale quando capiscono che non avranno mai più la possibilità di riconciliarsi, solitudini sparse nel mondo, paternità scoperte e svelate all’improvviso durante una casuale visita a una vecchia casa di campagna, quando tra cianfrusaglie e rifiuti spunta una vecchia audiocassetta con una voce di uomo sconosciuta che recita le poesie d’amore più belle, la voce roca e tenera. Solitudini che sgomitano, per avere la meglio sull’amore, perché l’amore fa paura, è un sentimento che certe volte è più saggio tenere sopito, dentro la confortevole opacità delle regole sociali, invece di permettergli di dirigere le nostre scelte, di cambiare orizzonte e vita, uscire allo scoperto e abbandonare la comfort zone che certo ci tiene al sicuro ma non ci rende davvero umani. Perché io credo, come i protagonisti di questi racconti, che la vita debba farti male per essere degna di essere vissuta, e debba essere vissuta con autenticità. Il punto in cui tutto si mette a fuoco è questo: quando devi scegliere se vivere dentro una cuccia o urlare il senso di disagio che provi solo perché sei fatto in quel modo lì e non in un altro, perché sei tu quella persona, anche se non hai il cuore pulito, ma non puoi smettere di essere davvero quello che sei.
C’è Nicola, che sembra avere tutta una vita festosa come un cucciolo di cane, confezionata su misura dalla dolce fidanzata e dai genitori, ma nel suo corpo c’è un senso di insoddisfazione che serpeggia, perché non sa dire sì a quella vita decisa da altri, ma non ha ancora imparato a dire no, quando nel suo palazzo viene a vivere Alice, una ragazza dalla capigliatura bizzarra e sempre circondata da uomini stranieri che, a prima vista, sembrano clienti di una sex worker. Ma quando Nicola si ritrova a parlare con Alice trova un inizio di verità: Alice parla 4 lingue e aiuta badanti e lavoratori dell’edilizia a districarsi con le prime regole dell’italiano. Sarà Alice ad aprire gli occhi e il cuore di Nicola sul buco nero dei suoi desideri, a farlo riflettere sul fatto che non c’è gioia in lui nel nuovo inizio che, semplicemente, è la cosa più facile da fare, ma non quella che vuole.
I personaggi hanno tutti un legame gli uni con gli altri, in certi casi sono il detonatore che fa esplodere vite al riparo con confessioni lucide e un po’ troppo dirette, in altri sono la confidenza sui mezzi pubblici guasti che li spinge a fare una scelta diversa da quella dura da che avevano progettato. A volte un incontro che appare secondario si rivela quello che serviva per cambiare direzione.
A volte, invece, basta un colpo del polso per trasformare tutto in cenere, come succede a Sara, e avere una vita diversa con tutto il carico di ansie e relazione giovanile tossica e perdita, ma quello stesso colpo del polso può essere utile per rinascere, per vedere con nitidezza le crepe nell’ordito di vite senza emozioni, legate solo dalle abitudini, senza scintille, senza vitalità.
Queste storie sono l’equivalente di un dito premuto sullo sterno che ti fa un po’ male quando lascia la presa, e quello che ti viene in mente è di aver sentito, insieme ai protagonisti, la tua stessa inconsistenza, una sorta di caducità alla quale non si può davvero rimediare ed è insita nel fatto stesso di essere nati. Siamo città in frantumi, costruite sui detriti delle speranze perdute e dei tradimenti subiti e fatti.
Quello che ci salva, da sempre e per sempre, è la nostra possibilità di farci toccare l’anima, di accettare il fallimento, ma anche la felicità, perché è molto rischioso accettare di essere felici, ci rende responsabili, attori e non comparse del nostro stare al mondo.
“Io credo che l’amore sia tutta una questione di prospettiva. È come un bello scorcio, uno di quelli che vedi mentre cammini in un borgo del reatino. Ti blocchi, lo osservi e ne resti ammaliata. È tutto così perfetto che non pensi possa esistere un altro luogo al mondo in cui varrebbe la pena stare. Prendi il telefono per scattare una foto, ti sposti un istante per trovare la luce giusta e tac! Tutto cambia. Sul muro sono comparse crepe che prima non vedevi, al bordo del marciapiede c’è dell’immondizia lasciata da qualche incivile. In un istante la bellezza è scomparsa per sempre, e anche se provi a tornare al punto di prima ormai i tuoi occhi vedono solo le crepe e l’immondizia”.
“Il baluginio rossastro avvampa appena quando lei porta la sigaretta fra le labbra di lui, che aspira con avidità. Si guardano come io e Anna ci guardavamo fino a qualche giorno fa. Ed è uno spostamento impercettibile, il bacio che Michele piazza sul collo della sorella. Mentre le palpebre di Laura si socchiudono nell’estasi più dolce, torno a guardare Anna. La vedo alzare il telefono, sorridere e scattare una foto.
Poi si gira verso di me, e tutto ciò che so sull’amore sembra sparire per sempre”.