Nella Dublino povera, lacera e dominata da un ottuso senso di religiosità cattolica degli anni Ottanta, vive Juno, una dodicenne ribelle, esiliata nella sua stessa casa, tra un padre alcolizzato e una madre che vive di lavoretti saltuari da sarta. Juno è oggetto di critiche da parte dei suoi coetanei e delle suore, che sono sconcertate dal suo senso dissacrante verso le rigide regole non scritte della scuola; come reazione, si allontana sempre di più dalla comoda acquiescenza imposta dalla maggioranza dei suoi compagni. Sola e isolata, Juno finisce con il provare simpatia e senso di appartenenza verso Sean, che lei chiama Gambelunghe, un ragazzo orfano di padre, a sua volta oggetto di scherno per il suo corpo delicato e le sue preferenze sessuali, evidenti a tutti ma osteggiate dalla comunità, quando non vengono considerate diretta emanazione del diavolo. Juno e Sean si legano nel modo feroce e assoluto che hanno i sopravvissuti e gli scampati, chiusi nel loro mondo fatto di possibilità accennate e confuse.
La miseria trascinante della vita di Juno e la rabbia verso adulti che la puniscono quando dovrebbero proteggerla inducono Sean a compiere un gesto eclatante, che avrebbe dovuto essere dimostrativo e invece va al di là di ogni previsione. La violenza del gesto, anche se non voluta, rappresenta l’ingresso traumatico in una vita fatta di punizioni reali e di esclusione. Sean Gambelunghe e Juno vengono separati, lei è costretta a difendersi e lui subisce la trafila odiosa degli istituti di rieducazione.
La morte della madre diventa poi per Juno l’occasione di fuggire da una casa nella quale non è più tollerata e finisce con il consegnarla, prima ancora di compiere diciotto anni, a una vita di clochard, di espedienti.
Quando, in maniera imprevista e inaspettata, Juno incontra di nuovo Sean, dopo le spiegazioni e i racconti e le confessioni e i rimpianti, tra loro si rinsalda il legame che avevano. Juno e Sean sono due anime gemelle che si cercano senza desiderarsi, senza la passione romantica e sessuale. Tuttavia nel mondo di Sean, fatto di feste e incontri d’arte e di strani protettori vogliosi e incuriositi, irrompono il rifiuto e l’ostracismo che, ancora una volta, condanna entrambi alla solitudine e alla separazione.
Eppure non basta il confine di un altro paese a separare le anime tenere, tenaci, disperate e tradite di questi due antieroi, così immensi nelle loro semplici richieste d’amore destinate a essere fraintese o rifiutate. La loro disperazione è un atto d’accusa verso il mondo degli adulti, strutturato e ipocrita, e al tempo stesso uno spasmodico aggrapparsi alla reciproca tenerezza, al loro volersi bene senza alcun secondo fine che non sia quello di tenersi al sicuro, e di essere casa l’una per l’altro.
Cosa rende una vita meritevole di essere raccontata se non la ricerca incessante d’amore, dove l’amore è quel cerchio sicuro, quel posto in cui non sarai giudicato né ostracizzato né costretto a mentire. È per questo che vengono raccontate storie, per riportare ordine nella confusione, per fare in modo che la diversità sia raccolta e trasformata in luce. Così la storia di Juno e di Gambelunghe è la possibilità che lo scrittore concede a loro di uscire dall’oblio dei non amati e rientrare nel nostro orizzonte di lettori, e per restarci il tempo che serve.
Le maniche del maglione di Sean erano incrostate del suo moccolo. All’intervallo ho iniziato a spiarlo in fondo al cortile. Era solo, le mani ficcate in tasca, la testa bassa, come se avesse smarrito qualcosa di prezioso in mezzo all’erba, cui dava dei piccoli calci insensati, all’apparenza impegnato in una ricerca attenta e paziente. I capelli biondi mossi dal vento, che dondolavano sulla fronte. Era sempre solo. Io l’avevo notato. Mi ero accorta di come tentasse di passare inosservato. Io in realtà notavo tutto e alla fine mi ero resa conto che più di ogni altra cosa notavo Sean.