“Binari” di Giorgia Tribuiani (hopefulmonster)

È una narrazione che urla, questa, e poi si fa bisbiglio, intenerito dalla fragilità umana

Un racconto feroce, intenso, in cui si intrecciano in maniera perfetta pause e accelerate. La storia è una storia di banale disperazione. Una ragazza si suicida gettandosi sotto un treno. Il macchinista non ha potuto evitare l’impatto, perché l’occhio umano che si rende conto delle intenzioni suicidarie è più veloce del tempo di frenata del treno. Questi i fatti. Nel tempo storico in cui è accaduto l’evento, tempo di Natale, con regali e palline colorate e frenesia di corpi e mani che si sfiorano, progetti di gite sulla neve, il macchinista non si dà pace. Rivive l’evento, vittima della sindrome da shock post traumatico, tutta la sua normalità quotidiana dissolta, impossibile da rincollare. Perché ha scelto me? Si chiede. E la moglie, pazientemente, gli risponde che “non ha scelto te, ha scelto il treno”, nel modo non dissimile da chi sceglie il veleno o la pistola. Nel tentativo di capire, di rimettere ordine, di lasciarsi alle spalle l’ultima visione di quel corpo giovane e inconsistente, con gli occhi bistrati di nero, il macchinista va a parlare con la famiglia della ragazza. Non ci sono spiegazioni comprensibili. Il suicidio questo è: un atto incomprensibile per chi non lo compie, un’estrema solitudine, assolutamente incomunicabile. Tutta la narrazione è una traccia del rapporto, virtuale, che si crea tra il macchinista, sopravvissuto alla tragedia, perché anche lui è un protagonista, ancora vivo, e la ragazza, la storia di lei condensata nei particolari del corpo distrutto sulle rotaie, che non è più viva ma che ha ancora da raccontare. E poi occhi, sguardi, gesti, di lui, timidi, impacciati, la compassione che ispira come se fosse malato, con la coperta e la borsa dell’acqua calda, i gesti della moglie, il corpo raccolto, rinchiuso, i gesti nervosi delle sorelle della ragazza, gente normale, mediamente serena.

È una narrazione che urla, questa, e poi si fa bisbiglio, intenerito dalla fragilità umana, dal nostro essere inconsistenti, ossa che si spezzano, e anime in subbuglio. Esiste un momento, compiuto, perfetto nella sua irrevocabilità, quando la ragazza ha deciso di attraversare la linea gialla e, ponendo fine alla sua vita, si lega per sempre a quella di un altro.  Non c’è bisogno di usare troppe parole per raccontare i traumi o le storie. Sono spesso racchiuse nei gesti intimi che sfuggono al controllo, il braccio distratto che scivola sulla spalla del vicino, il piede che batte sul pavimento.

Lui, quella ragazza ci metterà qualche secondo a capire chi è. Penserà, illuminato dalle luminarie, nel tepore del fiato di dicembre che una sciarpa a quadri gialli assorbirà e restituirà umido sul mento e sotto il naso, penserà e si dirà che strano che un pedone abbia aspettato proprio il rosso, per attraversare; poi la riconoscerà. Avrà, la ragazza, lo zaino, i capelli decolorati e la frangia cortissima. La sciarpa, anche lei come lui ma a righine, e i jeans, e il parka aperto nonostante dicembre.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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