Joseph riprende a scrivere, ha i battiti accelerati come dopo una lunga corsa.
“Sono cresciuto, indurito, cambiato. Forse anche il cuore si è abituato, si è rodato alle catastrofi, forse è diventato incapace di provare un dolore profondo. Il bambino che ero diciotto mesi fa, quel bambino sperduto nel metrò, nel treno che lo portava a Dax, so che non è più lo stesso di oggi, che è sperduto per sempre in un bosco, su una strada provenzale, nei corridoi di un albergo di Nizza, si è sbriciolato un po’ ogni giorno di fuga. Mi sembra che certi giochi non mi interesserebbero più oggi, nemmeno le biglie, una partita di pallone forse, ma non è detto. Non mi hanno preso la vita, forse hanno fatto di peggio, hanno rubato la mia infanzia, hanno ucciso in me il bambino che potevo essere. Forse in fondo non tengo più alla vita, solo che la macchina è in moto, il gioco continua, è la regola che la selvaggina corra sempre davanti al cacciatore e ho ancora fiato, farò di tutto perché non abbiano il piacere di prendermi”.
Bibliografia:
Joseph Joffo, Un sacchetto di biglie, Rizzoli;
Joseph Joffo, Le vetrine illuminate, Rizzoli.