Prima di essere fatti per calpestare terra e erba e inghiottire aria densa come sangue o leggera come zucchero, siamo stati esseri che nuotano. Una parte di noi anela all’acqua in maniera assoluta, totale, e solo nell’acqua trova il suo habitat giusto. Lidia è così, una bambina dall’infanzia ridotta in frantumi da un padre violento e abusante e da una madre passiva e alcolista, una sorella maggiore che fugge appena diventata maggiorenne, e nel nuoto trova la sua ragione di vita, prima che arrivi la magia delle parole a tenerla a galla. Lidia è fatta di mancanze, di possibilità lusinghiere che si lascia sfuggire sistematicamente, quasi incredula di fronte all’opposto del fallimento nel quale, a volte, trova una dimensione naturale. Perché aver esaurito le energie per sfuggire agli abusi sessuali del padre, i tentativi di suicidio della madre, le hanno innescato un bottone di autodistruzione al quale basta poco per esplodere. Quando nessuno ti ha trattato con gentilezza allora ogni possibilità di gentilezza altrui nasconde una trappola.
Il romanzo/memoir inizia con il lutto continuo, come una corda che si stringe attorno al collo dell’autrice e del lettore, della sua bambina nata morta, gli occhi socchiusi a bocciolo, le palpebre cucite per sempre e negate alla luce. Questa morte è il punto di inizio di una lenta caduta nel dolore, un vacillare alla ricerca di identità negata e di sollievo al senso di colpa, anche se davvero, lei di colpe non ne ha. Lidia ritorna sulle impronte lasciate nella terra, alla bambina che era stata, quella ingannata dal corpo ferito dal padre, la menzogna replicata più volte, il senso di un possesso cieco e brutale esercitato su di lei. Nessuna difesa, nella vita edipica che si lascia alle spalle con la borsa di studio per il nuoto, la falcata delle braccia che fende l’azzurro della piscina. Lo stesso azzurro dei suoi occhi. Lo stesso azzurro degli occhi del padre.
Lidia rivendica la sua bisessualità, la sua ricerca di conforto attraverso il dolore provato e inflitto nelle pratiche di BDSM, l’abuso di alcool e due matrimoni falliti. Lidia non si assolve, anzi, è consapevole di essere responsabile di aver provocato dolore agli altri, come la donna incinta che ha impattato da ubriaca, nel tentativo di fuggire dall’angoscia e dal senso di impotenza del fallimento del secondo matrimonio.
Il cerchio si chiude con la scoperta di un amore furioso e gentile insieme, qualcuno, il suo terzo marito, che la riconnetterà ai lutti e al suo senso di non essere mai abbastanza solida e reale da meritarsi bellezza e pace.
E sempre l’acqua, avvolgente, pericolosa e accogliente insieme, un luogo in cui essere e sentirsi a casa, il luogo nel quale al riparo, nuotiamo nel corpo unico di nostra madre, prima di separarci da lei, prima di sentire il dolore della vita che ci condanna alla fragilità, all’impermanenza. Eppure, per quello che è possibile, l’acqua di un lago o di un fiume, trasporta non solo scorie e rifiuti, ma anche i nostri buffi e timidi tentativi di esistere e di lasciare tracce solide. Io dico di me che non conosco il corpo di mia madre nel quale ho nuotato, nel tempo in cui siamo state unite, l’assenza d’aria di quei primi momenti prima ancora di avere un nome non ha lasciato conseguenze. Se non il desiderio, anche per me, di continuare a cercare l’acqua. E la fluidità dell’acqua ha in comune con le parole la possibilità di plasmare corpi e storie e scacciare i demoni.
Questo libro è un sogno in cui mi sono smarrita, attraverso le descrizioni colorate dei sentimenti di Lidia, le sue debolezze come figlia e donna e madre. Succede sempre con i libri che ti tengono ancorata a terra, prima di lasciar esplodere le emozioni represse e di farti ridere, piangere, ed essere viva. Proprio qui, proprio adesso.
Mattino. Seduta in macchina aspetto che aprano le porte della piscina. Le aprono, entro. Mi spoglio. L’acqua è del colore dei miei occhi. L’odore del cloro è più familiare di qualunque altra cosa io abbia mai conosciuto. Quando mi tuffo ogni suono, ogni peso, ogni pensiero svanisce. Sono un corpo nell’acqua. Ancora. Madre, riposa. Sono a casa.