La lingua dei cani e dei gatti, dovrebbe, nelle intenzioni di chi pronuncia questa frase, essere la lingua universale del desiderio cieco verso l’accoppiamento, privo di complicazioni legate alle emozioni e ai sentimenti. Inizia così il primo racconto che dà il titolo a questa strepitosa prova narrativa di Susan Minot, quando un professore tenta un approccio sessuale, che di fatto è una potente molestia, verso una laureanda sua allieva in un corso di scrittura. La ragazza è provata dalla morte improvvisa della madre e dal senso di spaesamento che consegue a un evento così traumatico, che mina le basi della solidità familiare. La collera di lei viene attenuata dalla mancanza di una denuncia chiara alle autorità universitarie. Questo rimane comunque un episodio al quale pensa nel corso degli anni, e che la porta a considerare quanto siano state meschine le parole pronunciate dal professore.
Sono racconti dalla trama semplice, in cui le sofferenze dei protagonisti sono legati al loro intimo bisogno di essere visti e amati, come esseri umani, prima ancora che come oggetti d’amore.
C’è una donna che viene guardata con compassione dalla governante del suo amante sposato, e attraverso quello sguardo di aperto dispiacere lei inizia a sentire il senso di inadeguatezza che consegue all’aver fatto sesso in una casa abitata da un’altra donna, le cui tracce sono ovunque.
Una madre single si ritrova a Zuccotti Park, senza prendere parte attiva alla protesta, per vedere il suo ex compagno giornalista e scorgere nello sguardo vuoto di lui, interessato al servizio fotografico e non al mondo bicolore che hanno diviso, la fine non annunciata della relazione.
Ci sono coppie che si sono appena messe insieme e che vedono già affacciarsi l’inizio della dissoluzione, le parole del portiere del palazzo dove sono stati a una festa, come un monito. L’amore è per i piccioni, rivela, mentre tiene la porta aperta e li guarda scivolare via nella densa notte newyorkese, il passo dell’uomo più frettoloso di quanto la donna giudichi normale.
C’è un caffè che accoglie le persone sospese tra questo mondo e l’altro, tutti in attesa di tornare sulla terra o evaporare, passando dall’altra parte, la mente che ricorda i cibi amati, gli auguri scambiati, paradossali, sono del tipo “felice necrologio”.
Un ragazzino, sconvolto dal recente divorzio dei genitori e dall’apparente indifferenza del mondo va in cerca di marijuana e trova una donna che lo costringe a seguirlo e che lo sottoporrà a una violenza imbarazzante e difficile da dimenticare.
E poi i dialoghi di gelosia, di incomunicabilità in cui ci si rinfaccia il legame con gli ex, un brusio di voci interrotte e sovraesposte, in cui l’ascolto diventa un obiettivo troppo difficile.
Sono tutti, in misura diversa, ma immancabile, sospesi, in attesa di rinsaldare i legami che li proteggano dalle domande sulla vacuità della vita, sul bisogno di trovare protezione e saldezza all’interno di schemi che tengano a distanza la paura della solitudine. Tenersi qualcuno accanto con il quale vedere la luce impietosa dell’alba, quando la luce cruda e vivida della giornata toglie incanto e mistero alla notte. Sono tutti sospesi, a braccia spalancate, come ali, nel momento in cui le cose potrebbero cambiare, se solo loro volessero.
Una ragazza è abituata al viscidume degli uomini. Lo sguardo voglioso del tizio all’edicola, il commento volgare di qualche coglione alla fermata dell’autobus. Si avverte subito una tensione pungente. Però si impara a ignorarla, e a lasciarla perdere nel più breve tempo possibile.
Sophie ammirava le ragazze che replicavano a un fischio volgare con una battuta brillante. Nel dimostrarsi indignate, a volte, ci si sentiva meno vulnerabili.