Questo romanzo è la sintesi perfetta della frase di Walt Whitman sull’essere disgregati e completi insieme: “contengo moltitudini” è, infatti, la partenza per questa storia che attraversa quasi 30 anni di storia umana e europea, dalla Londra alla DDR prima della caduta del muro, all’America che accoglie avanguardie artistiche.
Saul Adler è un ricercatore universitario di 28 anni, quando, nel lontano 1988, sulle strisce di Abbey Road viene investito da un uomo dai capelli color argento che sembra stranamente preoccupato per la sua età, e gli fa, oltre alle domande di rito sul suo stato di salute, strani riferimenti personali. Saul è bellissimo e particolare: ha gli occhi azzurro intenso, i capelli neri, ed è bisessuale. Inoltre, è un ebreo che di ebraismo sa poco o nulla, se non, occasionalmente, quando ricorda della fuga della madre bambina da Heidelberg, prima che il regime nazista riducesse in briciole la vita dell’Europa. L’incontro gli lascia strane suggestioni, come un oggetto strano che erutta parolacce (un cellulare?), e la manica della giacca strappata nell’urto.
Poco dopo incontra Jennifer, la sua ragazza, aspirante artista visiva, che vuole riprenderlo sulle stesse strisce di Abbey Road, come nella famosa copertina dell’album dei Beatles. Le foto vengono scattate e portate in Germania, regalo per la famiglia che lo ospiterà nei mesi che gli occorrono per fare delle ricerche sulla psicologia dei tiranni in Europa. Saul ha anche un cucchiaino delle ceneri del padre, fervente comunista, che desidera essere ricongiunto con un pezzo di patria ideale.
Da questo momento tutto si confonde, Jennifer lo lascia, dopo che lui le ha chiesto di sposarlo, e Saul parte per Berlino Est, con il dolore all’anca, postumo dell’incidente, e senza il regalo dell’ananas in scatola che la famiglia ospitante desiderava ricevere dall’Ovest.
I dettagli tra vite passate e presenti e future si mescolano, i personaggi sono sovraesposti come in una pellicola, la cautela che traspare sulla carta somiglia al bisbigliare furtivo di chi vive spiato.
Quando Saul parla con Jennifer, il loro vezzo di chiamarsi per nome e cognome ricorda l’abitudine dei romanzieri russi dell’800 di chiamarsi con il patronimico, per non lasciare dubbi a chi ci si sta rivolgendo. Un nome non è un nome senza la sua origine.
La vita di Saul si lega a Walter e a Luna, i due fratelli berlinesi, e intreccia con entrambi una relazione. Ma mentre quella con Walter sembra frutto di autentico desiderio, quella con Luna ha il sapore polveroso e stantio delle cose inevitabili. Con lei, ragazza paranoica e dispotica, Saul si sente triste, e quando capisce che per lei, lui è la chiave per ottenere un visto per l’Ovest, scappa, lasciandoli entrambi in balia della Stasi.
Chi è veramente Saul, uomo che sfugge a ogni tocco profondo, e che si accontenta di sfioramenti emotivi superficiali e perciò controllabili?
E il tempo che si arricchisce dei particolari della storia raccontata dai frammenti dei ricordi degli altri protagonisti, dove ci sta portando? Jennifer si è accorta che mentre Saul le chiedeva di sposarlo non stava guardando lei, ma, da uno spiraglio socchiuso della porta, stava osservando la sua coinquilina nuda dopo la doccia?
La narrazione a un certo punto implode e ci trascina in un altro tempo, un nuovo investimento per Saul nel 2016, sulle stesse strisce pedonali di Abbey Road ad opera di qualcuno che si chiama di nuovo come il primo investitore, Wolfang. Che fine fa la vita in mezzo? Siamo in un paradosso temporale? Siamo trascinati a viva forza dentro la debolezza di una vita che pare mancare il bersaglio? Guardiamo Saul con gli occhi di Jennifer, di Walter, di Luna, di Jack (suo amico e amante)?
Saul siamo noi? Forse ogni vita non è mai una sola, ma è la miriade di possibilità che possiamo avere se facciamo una scelta o un’altra. Forse.
La narrazione di Deborah Levy somiglia davvero a un pavimento scivoloso, a una serie di specchi magici in un Luna Park, dove le angolazioni e i frammenti di un orecchio, di una mano, di un cuore, non bastano a restituire l’integrità a chi, per il solo fatto di essere umano, accetta le sue contraddittorie moltitudini.
Un romanzo che esce dagli schemi della narrativa e ci trascina nelle sabbie mobili dei mondi paralleli ai quali diamo vita con le nostre scelte, e ancora di più con le nostre assenze.
È così Saul Adler: a ventitré anni adoravo il tuo modo di toccarmi, ma quando il pomeriggio si infilava nella stanza e tu ti sfilavi da me, stavi già cercando qualcun altro.
Attento Saul Adler. Attento! Guarda a destra e a sinistra, attraversa la strada, approda dall’altra parte.